GAG GENERELA 2024
Ai 6 de jené ons abù la Generela, ula che on mustrà l'ativiteies dl ann 2023 y purta dant l program per l 2024. Danter valgun bloc videos à Hannes Niederwolfsgruber, Giovanni Costanzi y Franziska pudù sëurantò l ciodo dl GAG.
Se ncunferton sun l 2024 !
Tlo abinëis articuli sun arpizedes che vën fates te Gherdëina y ënghe plu dalonc, sibe sun crëp che n dlacia. Cunton de vies nueves y repetizions, de manifestazions y n generel de dut chël che à da n fé cun nosta pascion, l alpinism!
Oltre il Diau - Antelao
Breve racconto di una via nuova alla parete sudovest dell’Antelao. Di Alex Walpoth
Tempo fa, Titus, Martin ed io decidemmo di tentare ogni anno una nuova ascensione. Riteniamo che l’autunno sia il periodo ideale per queste sfide avventurose e così il 4 ottobre di quest‘anno partiamo in direzione dell'Antelao. La parete sudovest è enorme, frastagliata, alta fino a mille metri e viene superata da poche vie che contano ancora meno ripetizioni. Tra le vie di Bee e di Bettella e Scalco avevamo individuato l’anno scorso una bella zona di parete libera. La parte bassa sarebbe stata facile e poco definita, la cosiddetta headwall invece prometteva una sfida indubbiamente molto interessante. L'accesso è lungo e faticoso attraverso un bosco di mughi.
La mattina siamo grati per le nubi che coprono il sole, ma arrivati all'attacco si mette a piovigginare. Troviamo riparo in un canale, ma il ruscello s’ingrossa velocemente, facendoci capire la dimensione della parete. Per fortuna la pioggia cessa presto e continuiamo a salire senza corda su terreno facile. Giunti ad una sezione più ripida ci avvolge la nebbia, che ci impedisce di capire il percorso. Riposiamo per due ore in una piccola grotta. La visibilità non migliora e neanche il nostro morale. Oramai è già pomeriggio e le giornate di ottobre sono corte. Pur di non abbandonarci alla pigrizia iniziamo a scalare. Titus scala cinque tiri su roccia molto bella. Martin e io seguiamo veloci, liberando regolarmente i sacchi incastrati sotto qualche sporgenza. Sulle foto della parete avevamo intravisto una possibilità da bivacco in un buco. Giunti lì, la realtà supera ogni nostra aspettativa. Il buco è enorme, profondo una decina di metri, insomma è una vera grotta. Passiamo una notte molto tranquilla e riposante.
All'alba ripartiamo spediti, pieni di fiducia. Presto raggiungiamo la headwall, caratterizzata da un calcare grigio e giallo assolutamente compatto. Sarà difficile superarla solo a chiodi. Comunque non abbiamo scelta, perché gli spit non li abbiamo portati! A sinistra ci sono delle fessure, ma la roccia sembra meno bella, così decidiamo di tirare su dritti lungo una larga striscia grigia assai liscia.
Il primo assaggio spetta a Martin. Si tratta di un bellissimo tiro di cinquanta metri in placca e interrotta da una breve fessura. La scalata è impegnativa ed esposta. Martin riesce a battere alcuni chiodi, sempre distanti l'uno dall'altro. Da secondo, godo appieno l'arrampicata e non vedo l'ora di continuare da primo su questa roccia stupenda. Supero velocemente i primi metri. Un ottimo friend mi trasmette fiducia e continuo su una placca senza possibilità di proteggermi. La prossima fessura è molto distante. Sto per scoraggiarmi quando trovo una buona presa solcata da un'esile fessura. Una chiodo a lama lungo due centimetri entra con qualche colpo. Mi appendo, poi rischio un breve volo, tiene. Dopo diversi tentativi riesco a risolvere l’enigma della placca. Ma mi aspetta già la prossima, più in alto, più ripida ma per fortuna un po’ più appigliata. Costruire una buona sosta è un'altra sfida su roccia così compatta, ma grazie ad una bella scelta di chiodi e tre set di friends ci sentiamo sempre sicuri.
Ora è la volta di Titus. I primi metri su roccia superlativa scorrono veloci, poi si aiuta con un pendolo per guadagnare un diedro aperto. Non lo vediamo più, ma sentiamo sporadicamente colpi di martello. Le corde scorrono sempre più lentamente. Ad un certo punto Titus sbuca in alto, dietro uno spigolo. È deluso, perché è impossibile creare una sosta e sopra di lui la parete si raddrizza ulteriormente. Decidiamo insieme di allestire la sosta più in basso. Titus si cala quindi su un pecker malsicuro.
Ora abbiamo due problemi più o meno gravi, le fortissime difficoltà davanti a noi e la notte che sopraggiunge. Riuniti in sosta facciamo il punto della situazione. A Titus non resta altro che ritornare al pecker. Sale a malapena qualche ulteriore metro fino ad una clessidra, che lo rende speranzoso. Anche lui vuole vivere la sensazione di volare, scacciando così le paure. Lo fa più di una volta. Oramai imbrunisce, dobbiamo per forza calarci perché non abbiamo portato la portaledge. Congiungendo le corde arriviamo fino alla cengia all’inizio della headwall. Ognuno si impegna a lungo per rendere la cengia più pianeggiante ma sarà lo stesso una notte molto meno comoda di quella precedente.
L’unico vantaggio di un sonno disturbato è la voglia di scalare di nuovo il giorno dopo. Infatti, risaliamo la corda fissa alla prima luce. Titus incomincia la giornata con alcuni voli, un‘ottima tecnica per svegliarsi! Allunga la mano verso una minuscola fessura e riesce a agganciare un pecker. Lo carica lentamente mentre noi tratteniamo il respiro. Il gancio regge, Titus si alza di un metro scarso. Ora non scorge nemmeno una ruga per il cliff, è costretto ad abbandonare l’arrampicata artificiale. Grazie ad alcuni passi in libera estremamente difficili supera la placca più repulsiva. Ma non è finita, seguono altri quindici metri di scalata impegnativa con protezioni precarie e lontane.
Dopo aver sfidato e sfinito Titus per oltre tre ore la parete si dimostra nuovamente benevola. Il tiro si conclude su una stretta cengia. La parete sudovest dell’Antelao però ancora non molla. I prossimi due tiri sono caratterizzati da una serie di fantastiche fessure, ma solo duri passi di placca permettono di arrivare da una all’altra. Martin si confronta appena sopra la sosta con una placca ostica che preferisce salire in artificiale affinché non ci venga addosso. Io vivo il mio momento di paura superando un tetto friabile alla fine del tiro, quando gli amici sono oramai lontani e nascosti dalla nebbia.
Quest’ultima, presente più o meno tutto il giorno, si dirada appena usciti dalla headwall. Il sole basso ci regala una luce calda, paragonabile alla sensazione di calore che sentiamo dentro. Questa volta a tratti abbiamo pensato di non farcela, di dover uscire sulla vicina via Bee.
Di nuovo la cordata in tre si è dimostrata perfetta, almeno uno era sempre così fiducioso da riuscire a convincere gli altri due.
Al tramonto esultiamo sull’anticima. La vetta dell’Antelao però è lontana e il percorso per arrivarci sembra complicato. Non ci resta altro che trascorrere un’altra notte in parete, su una comoda cengia esposta a est.
Assorbiamo così i primi raggi di un nuovo giorno, liberando energie nascoste che ci fanno arrivare in cima e ritornare a valle leggeri, anche perché avevamo finito il cibo e l’acqua.
The Calm of the Desert - Jordan, February 2023, Alex & Joey
by Johanna Ratschiller
Deep inside, my heart will always beat higher for my home (mountains) but the thought of packing all my things and just leave is a recurring one, since… always. Is it because when coming home I appreciate things even more, or is it just part of my character?
Never have I spent a longer period of time in the desert, thus, no expectations could interfere with how it could be. The desert is the most silent and calm place I’ve ever been to. There is not much life, yet it is a place full of energy. Is it describable? No, you have to experience it to understand it.
This silence allowed my philosophical ramblings full bent, and of course, we also went climbing: Inferno should be our first afternoon activity. Thankfully, a pleasant short route, nothing like the heat of the lowest floor of the world. On one of the following days we actually thought back to this heat. At the next day’s approach I caught sight of two yellow flowers sprouting out of the poor desert soil. A metaphor of how all of us probably would like to be standing in life. Not only the flowers but also the route Lion Heart on Abu Aina towers will remain in my memory. One of the most beautiful crack climbs of Jordan. Enjoy a crux pitch with finger lock offs, hand jams and a little off width exit. On the way back home we did not accept the offer to take a camel ride. We still regret it…
They say that it is better to be a queen than a princess. I do not agree with that but to be the queen of the desert must be something special. The Queen of the Desert climbs up the second highest elevation of Jordan, the Jebel Rum. You can walk to its base from Wadi Rum village. Better make sure not to enter the territory of the dogs or you might never reach the base of the wall (my thoughts while running into them). Queens are known to be unpleasant but in the end they want the best for you. That’s what I thought during the climb: a really morpho section and some long unpleasant runouts in the heat of the desert (this is the moment where we thought back to Inferno, a day on the south wall without sunscreen, my bad) are followed by some really stunning slabs in the difficulty around 7a and 7a+. You can see thes slabby upper part of Jebel Rum already from the base and the thought of climbing right through the middle of these, feels quite impossible. Thankfully reality often differs from imagination. Imagine a palace beaten into a wall of sand. That’s what you see in Petra and it is definitely stunning. After one day though, we wanted to go back to Wadi Rum to fully emerge ourserves into the desert. We stayed in a tent at a beduins’ camp. Thank you Hillal, Mexhit and Mohammed, you made our desert experience even more pleasant. In the end, we left them our sand-eaten rope because it is definitely better off there and will be recycled in a very helpful kind of way. Barrah Canyon was our plan for the next day. After getting stuck with the truck in the desert sand and some fixing, we made it to the Star of Abu Judaidah. Nobody around, another day alone on the wall. This one is an old classic, you can easily observe it looking at the literally rope-eaten rock and the pitons beaten into holes in the soft sandstone. Since Merlins Wall is close to it and its crack irresistible, we also climbed the first part of it. We did not have enough time for the whole route because some tittle-tattle with Basks and Jordans right in the middle of the desert felt so much more important. After learning how to crash trees in the desert to get fire wood, I could drive the old Toyota truck towards the sunset back to our camp, which meanwhile felt like coming home. Mohammed had already lit the fire place and started to prepare the dinner slowly and softly cooked under the desert sand.
It is difficult to comment what to think about the name Guerre Sainte but Arnaud Petit and friends’ masterpiece up the wall of Jebel Nassarani is definitely a climbing style you won’t be able to enjoy in many places of this world. A 100% must do if you can master the grade. The route interestingly winds up this steep wall and you will be amazed by the forms that this sand rock is waiting for you. What else, than rounding off this beautiful trip with The Beauty in Rakabat Canyon. Already the access from the desert side, that is from Jebel Nassarani, is remarkable. You will be scrambling through a narrow canyon while following some rock men and Arabic writings beaten into rock. What you do not want while being here, is heavy desert rains. ;) The name of the route met all the expectations and again, we were lucky enough to be alone. Do not forget to bring the big one, otherwise the last off-width can be a little unpleasant though more adventuresome. It is highly recommendable to exit via the small crack (around 6c). From the top you have a beautiful view to Wadi Rum village.
On one hand these ten days passed by so fast, but on the other, the calm of the desert made time stand still. Now that we are back home since about a month, I still like to think back to this never-before-experienced silence. Once again I am surprised and also a little sad about how fast we readapt to our fast-living lifestyle, where little insignificances are added so much weight. If I would go back? Definitely! The place is beautiful, the rock is unique and the potential is high. But most of all, it is the emptiness of the desert that provided so much energy.
Thank you Mammut Swiss for the best clothing and material which helped to fight the power of sand and wind.
Titus Prinoth ie l nuef Presidënt dla Grupa Alpinisć Gherdëina
N vënerdi, ai 19 de jené 2023, à l nuev Cunsëi dla Grupa Alpinisć Gherdëina (GAG) abù si prima senteda a Urtijëi tl local dl Saut. N pont mpurtant fova la vela dl nuev presidënt, do che l mëinacrep y vedl presidënt Martin Dejori, do vester stat lità tl Cunsëi di Judacrëp y nce per ulëi sëurandé la stiera ai jëuni che vën, ie do ngrum de ani de atività zapà ora dal Cunsëi dl GAG.
L fova riesc tler, che l mëinacrëp y cumëmber di Judacrëp Titus Prinoth fossa per chësta ncëria l plu adatà. Titus à l’autorità che chësta stiera se damanda, à scialdi esperienza dl mond dl alpinism y ie bele da plu ani respunsabl dla cassa per l GAG. Ël se à metù a disposizion y ie nsci stat lità da duc coche nuev Presidënt.
L autra stieres, dassënn mpurtantes per n bon funziunamënt dla Lia, ie unides spartides sù sui nuef cumëmbri: Aaron Pitscheider se tol la ncëria dla cassa y Damian Holzknecht sarà respunsabl dla plata internet y de i social media. Aaron Mussner fajerà l scrivan.
N ucajion ie nce unì rujnà dl program per l ann 2023. I cumëmbri y i mo-nia-cumëmbri dl GAG possa se ncunfurté sun ngrum de bela jites. Danter auter uniral metù a jì na jita cun la peves de plu dis tla Svizera. De mei uniral jit n’ena al bon ciaut tla Corsica a crëp.
Duc i apasciunei dl alpinism possa se ncunfurté!
Senteda generela y nuef cunsëi per l GAG
Do doi ani de paussa per na rejon a duc cunesciuda à l GAG, la Grupa Alpinisc Gherdëina, ai 05.01.2023 finalmënter inò pudù tenì si senteda generela.
Te chisc ultimi doi ani se on duc ntendù tan mpurtant che l ie vester dedora, se muever y dantaldut vester n cumpania. Do n bur periodo al scumenciamënt dl 2020, ulache dut chësc ne fova nia puscibl, à i cumembri dl GAG riesc inò metù man de jì a crëp, urganisan ënghe vel blota jita adum. Sté dedite adum cun ngrum de persones ne fova plu giut nia mesun, perchël ie la senteda generela, de solito tenida una dla prima sëires de jené, tumeda ora doi ani ndolauter. Ai 05.01.2023 iela finalmënter inò unida a sl dé. Tl local SAUT tl Circolo se à ancuntà feter 30 cumëmbri. Ghesc nviei fova l ambolt Tobia Moroder, l prësident dla Lia da Mont Tullio Mussner, la prësidenta dl AVS Gherdëina Brigitte
Runggaldier y l prësident dl CAI sezion Gherdëina Theo Senoner. Tobia Walpoth ie unì ala senteda coche presidënt dl ASG, la lia che se cruzia dla palestres da jì a bouldern Iman y dal Tennis. Martina Lardschneider ie la presidënta dl ASK, ëila à cuntà di mutons che se alenea plu iedesc al ena, fajan ënghe pea dala gares. Chisc mutons unirà n di o l auter povester ënghe tl GAG, sce i scuvierj la pascion per l jì a crëp dedora y i crëps. Y n valguni fajrà povester ënghe mo l proscimo var y unirà teui su dai Judacrëp. Chësta streda à ënghe tëut Aaron Moroder, da n valgun ani fovel nstëss mo prësident dl GAG y chësc dezëmber iel unì lità l nuef presidënt di Judacrëp. Perchël ne pudovel sambën nia mancé ala senteda dl GAG, sotrissan la mpurtanza de chësta lia acioche l sibe for de jëuni che vën do pra i judacrëp.
La relazion sun l atività dla lia y de si alpinisc à durà mpue plu giut dl solit, danter blota jites y vies dlonch ora per la Dolomites iel danz unì adum mpue velch da cunté. La beliscima fotos cialova duc cun gran marueia, les fajova danz la gola de jì a scuvrì nuef posc. Una dla jites plu garatedes fova dessegur chëla a Cadarese de nuvëmber dl 2022. L se trata de n pitl luech tl nord dla Lumbardia, a cunfin cun la Svizra, cunsciù per l jì a crëp tla sfentes de granit. Tlo adroven n autra tecnica che tl dolomit y per ngrum de partezipanc fovel zeche de nuef. Un di mumënc che tira pea l plu ie for canche l vën seurandat l ciodo dl GAG, chësta recunescenza ti va a unì alpinista che à fat 10 vies a crëp o jites cun la peves. Chësc iede se à davanià l ciodo Andrea Rainer, Johanna Ratschiller, Maximilian Hofer, Damian Holzknecht, Valentin Mahlknecht y Aaron
Pitscheider. Na pultreda de ei y la 10 vies unirà scrites tl album dl GAG, n bel document che va oramai de reviers de ngrum de ani, abinan adum alpinisc de plu generazions.
Tres la sëira à menà l presidënt Martin Dejori, ël à chësta ncëria bele da n valgun ani. Sën ulovel la dé jù, autri 3 cunselieres à ënghe lascià. Duc se lecorda gën ala beliscima jites che i à fat adum. Per fertuna se à riesc metù a disposizion cater nueves che ie mutivei de lauré tl cunsëi, chisc ie Elisabeth Lardschneider, Aaron Mussner, Aron Pitscheider y Damian Holzknecht. Ei menrà la lia adum a Daniel Demetz, Titus Prinoth y Janluca Kostner che fova bele ti ultimi ani tl cunsëi.
Da tradizion ie la senteda generela unida purteda a fin cun na bona pasta n cumpania. Do doi ani sënza generela ne ne ova danz deguni prescia de jì a cësa.
Eine Reise nach Taghia - September 2022
Von Martin Dejori
Schon seit einiger Zeit träumte ich wieder von einer Fahrt in ein entfernteres Gebiet und nachdem Ende September eine geplante Kletteraktion des AVS Alpinist ausfiel, standen Alex und ich mit zwei Wochen freier Zeit da. Eines war klar, wir wollen irgendwo wegfahren und möglichst viel Fels unter die Finger bekommen. Bald stellte sich heraus, dass auch Thomas und Janluca für eine Reise motiviert waren und so musste nur noch entscheiden werden, wohin es ging. Bald war klar, es sollte eine Wiederkehr in die wunderbare Felsschlucht von Taghia werden. Seit meinem ersten Besuch in Taghia, vor mittlerweile 7 Jahren, hat sich nicht nur im Land Marokko, sondern auch im eigenen Leben einiges verändert, jedoch ist die Lust aufs Klettern genau dieselbe, wenn nicht noch größer als damals.
Die Anreise verläuft ohne Probleme und schon am zweiten Urlaubstag stehen wir inmitten des idyllisch gelegenen Dorfes, welches für neun Tage unser Basecamp sein wird. Das Grün der Bäume, das Rauschen des Baches, welcher nicht weit entfernt von einer Quelle gespeist wird, schreiende Esel und die spielenden Kinder in der nahegelegenen Schule lassen alte Erinnerungen aufkommen. Schon nach kurzer Zeit fühlt es sich so an, als wäre der letzte Aufenthalt gestern gewesen und alte Rituale und Tagesrhythmen nehmen wie gewohnt ihren Lauf. Ganz nach dem Motto climb, eat, sleep, repeat legen wir gleich am ersten Tag los und klettern zum Eingewöhnen die Route Canyon Apache in der tiefen Schlucht gleich hinter dem Dörfchen. Es fühlt sich gut an befreit dahinzuklettern. Griff für Griff, Tritt nach Tritt genieße ich das Höhersteigen und den Kontakt mit dem braunem Kalkgestein von erlesener Qualität. Voll und ganz in unserem Element, ohne großen Wortwechsel klettern wir im Sauseschritt die Wand hoch und warten oben auf unsere beiden Freunde, die nebenan eine Tour von Helmut Gargitter geklettert sind. Ein kurzer Abstieg über unwegsames Gelände und schon sitzen wir bei Tee und Fladenbrot mit Olivenöl auf der Terrasse der Gîte d'étape. Der erste Klettertag geht so zu Ende und wir freuen uns riesig auf die darauffolgenden Tage.
Am zweiten Tag sind wir im Team unterwegs und klettern alle gemeinsam die Route Fata Morgana am imposanten Felsturm Taoujdate, den man vom Dorf aus gut erkennen kann. Da Thomas, Alex und ich in Vergangenheit schon den nahegelegenen Klassiker les Rivières Pourpres geklettert hatten, wussten wir, dass auf uns herrliche Kletterei wartete. Unsere Erwartungen wurden nicht enttäuscht und wir klettern über Tropflochplatten, Rissen und kleinen Überhängen über die steile Wand nach oben. Nach etwa zehn sehr schönen Seillängen standen wir auf einem größeren Felsband, von wo man über einige leichtere Längen zum Gipfel aussteigt. Nach einem Abseiler und dem Abstieg über Berbersteige sind wir schnell wieder in unserem Refugium zurück. Said, der Besitzer der Gîte, begrüßt uns mit wenigen Worten auf Französisch und kümmert sich gleich um heißen Tee und Brot. Auf der Terrasse wärmt uns die Nachmittagssonne und wir staunen nur, wie schön diese kleine Ortschaft gelegen ist. Überall ragen oberhalb der bunt gefärbten Sandsteinformationen und Schutthalden vertikale Wände in die Luft. Besonders fasziniert uns die imposante 800 m hohe Wand südlich des Dorfes, wo eine Route verläuft, die wir schon seit dem letzten Aufenthalt im Hinterkopf haben. Noch wissen wir nicht, ob wir sie klettern werden und ob wir überhaupt in Form sind, um eine solche Tour in Angriff zu nehmen. In der Zwischenzeit beschäftigen wir uns nicht weiter mit diesem Gedanken und machen uns bereit für die größte Herausforderung des Tages: Eine Tour für den folgenden Tag zu beschließen. Die Auswahl ist groß und nach mehrfachem Studium des Livre d’Or, einer Art Tourenbuch, welches in der Gîte aufliegt, haben alle verschiedene Ideen. Nach dem traditionellen Abendessen diskutieren wir den Plan für Tag drei. Thomas und Janluca entscheiden sich für Babybel an der Paroi de la Cascade. Durch die ostseitige Ausrichtung wird ihre Nacht länger ausfallen als für Alex und mich. Wir entscheiden uns für die Route Anthropocene im hinteren Ende der Tadrarate Schlucht. Auf uns wartet ein Zustieg von etwa zwei Stunden und eine besonders steile, rot-braune Wand. Die Kletterei geht dank der guten Absicherung mit Bohrhaken und Magnesiumspuren flüssig über die Bühne und wir schaffen es beide, die Route ohne Sturz zu klettern. Eine Route als Team im ersten Versuch und sturzfrei zu klettern, stellt für mich die reinste Art einer Wiederholung dar und ich freue mich immer besonders wenn dies gelingt. Im Gegensatz zu uns, hatten Janluca und Thomas mit größeren technischen Schwierigkeiten und weiteren Hakenabständen zu kämpfen und bissen sich so am Petit-Testpiece die Zähne aus. Die Haut war bei allen durch den teilweise sehr scharfen Felsen schon gut mitgenommen und so genossen wir am Tag drauf einen gemütlichen Rasttag.
Wir schlafen am Morgen länger als üblich und den Tag verbringen wir mit Lesen und gemütlichem Zusammensitzen auf der Terrasse. Wir reden viel über die Entwicklung und das Leben der Einheimischen und rätseln, wie es wohl mit dem Tourismus im Dorf weitergehen wird. Taghia hat sich seit dem letzten Besuch 2015 nicht grundlegend verändert, jedoch könnte dies in naher Zukunft passieren. Die bereits begonnene Zufahrtsstraße wird wahrscheinlich im nächsten Jahr fertiggestellt und bietet dann eine einfache Erreichbarkeit. Es bleibt nur zu hoffen, dass der Tagestourismus das Dorf nicht in eine Touristenattraktion verwandelt, welche dann in kurzen Aufenthalten konsumiert wird. Wir sind froh das Dorf noch in seiner ursprünglichen Form erleben können und hoffen, dass sich dies in Zukunft nicht allzu stark ändern wird. Dann werden auch zukünftige Besucher dieses Paradies genießen können, genau wie dazumal die ersten Abenteurer und Kletterer. Darunter waren unter anderem beispielsweise auch Arnaud Petit, Stéphanie Bodet, Rolando Larcher und Maurizo Oviglia. Sie haben bei Erstbegehungen viele Tage in den Wänden rund um Taghia verbracht und besondere Meisterstücke geschafften. Eines davon ist die Route Sul Filo della Notte, welche eine glatte Wandpartie in der Tadrarate Schlucht durchläuft. Unser Projekt für den sechsten Tag soll genau diese Tour werden, von der wir schon eine Weile träumen. Bei besten Bedingungen steigen wir mit dem ersten Tageslicht in die Wand ein und klettern eine schönere Seillänge nach der anderen. Das Gestein ist von herausragender Qualität und die Haken sind intelligent gesetzt. Eine kleine Unachtsamkeit in der ersten 7c Länge beschert Alex einige Flugmeter. Er zieht sich am Seil hoch, klettert zügig weiter und übergibt mir vor der Schlüsselseillänge das scharfe Ende des Seils. Es gibt nichts Schöneres als eine Schlüsselpassage, ohne Begehungsspuren in Form von Magnesium oder Tickmarks, zu entschlüsseln. Ich schaffe es die richtige Sequenz zu finden und erreiche glücklich den Stand. Die letzte schwere Seillänge ist unscheinbar und verlangt nochmals alles ab: mit letzten Kräften schaffe ich die Traverse zum Stand. Alex führt die letzten Längen zum Gipfel und wir freuen uns über die herrliche Route, die wir gerade klettern durften! Thomas und Janluca kletterten am selben Tag die Route Anthopocene und meinten, sie sei im Vergleich zu Babybel ein Spaziergang, bestätigten allenfalls die Schönheit der Kletterei.
Nach diesem Tag machte sich die Idee in unseren Köpfen breit, dass wir vielleicht doch noch eine Begehung der Route Babel in Betracht ziehen könnten. Jedoch beschlossen wir erst mal einen weiteren Rasttag und vertagten die Entscheidung. Am nächsten Morgen waren alle müde und mit Mühe begannen wir die Diskussion, ob wir die Route versuchen sollten oder nicht. Babel wurde 2007 von Fred Gentet, Nicolas Kalisz, Stéphanie Bodet und Arnaud Petit erstbegangen und hat bis heute nur ein Dutzend Begehungen, wobei unter den Wiederholern einige namhafte Kletterer sind. Liest man Berichte zur Tour, so unterscheiden sich diese in der Tourenbeschreibung wesentlich: von sehr solidem bis schmutzigem Fels, gut abgesichert bis gefährlich, sehr lohnenswert bis nicht empfohlen. Der Nachteil von vielen Infos zu einer Tour: man weiß nicht recht, was man am Ende denken soll. Schlussendlich entscheiden wir zu viert einen Versuch zu wagen und Biwakmaterial mitzunehmen, falls wir es nicht in einem Tag schaffen sollten. Da Alex und ich beim Abstieg vom Gipfel des Tadrarate den Einstieg ausgekundschaftet hatten, fanden wir am Morgen schnell die Verschneidung, die den Start der Route kennzeichnet und kletterten mit dem ersten Licht los. Die zweite Seillänge wartet gleich mit einer schwierigen Stelle, welche Alex nicht aus der Ruhe bringt. Auf der Skizze sind insgesamt sechs „Tests“ verzeichnet - da wir schon zwei hinter uns hatten, kletterten wir zuversichtlich weiter. Je höher wir kamen, desto mehr vergingen die Zweifel und wir genossen jede Seillänge. Wir merken bald, dass es sich bei Babel um eine ganz große Tour handelt. Die Hakenabstände sind weit und die Kletterei ist sehr abwechslungsreich, aalglatte Platten wechseln sich mit griffigen steilen Passagen. Besonders fasziniert uns die Seillänge, welche in der Skizze mit Alveoles bezeichnet wird: sechzig Meter über einen enormen Schweizer Felskäse. Die Schwierigkeiten sind im oberen Bereich der Tour immer noch sehr anhaltend und es warten noch zwei „Tests“ am Pilier Rouge. Jede einzelne Seillänge verlangt Konzentration und Kraft, sodass wir langsam die Müdigkeit spüren. Zum Glück lassen die Schwierigkeiten ein wenig nach und so steigen wir kurz vor Sonnenuntergang aus. Wir sind überglücklich und klettern in Dunkelheit über einen leichten Grat zum Gipfel, wo wir uns hinsetzten und in aller Ruhe den Augenblick genießen. Babel wird uns allen als geniale Route in Erinnerung bleiben, ein wahres Meisterstück von Petit und seinen Freunden!
Nach diesem wundervollen Abschluss unser Klettertage, treten wir bei Schlechtwettereinbruch zusammen mit unseren Freunden Mirko und Andrea, welche auch im Gebiet unterwegs waren, die Heimreise an. Unser Freund Aaron, welcher vor kurzem angereist war, wird noch einige Tage im Ort verbleiben. Genau wie vor 7 Jahren freue ich mich beim letzten Blick zurück nach Taghia schon jetzt auf die Rückkehr in diese einzigartige Ecke im Herzen Marokkos.
Cascata Estiva
Ein romantisches Abenteuer. Von Aaron Moroder
Wieder stelle ich das Fernglas scharf und lasse meinen Blick über die Almwiesen und Berge der Seiser Alm gleiten. Wir haben Juni und der reichliche Schnee vom Winter muss in der warmen Nachmittagssonne endgültig den Rückzug antreten. Durch das Fernglas entdecke ich an der Westseite des Plattkofels einen riesigen Wasserfall: gespeist, vom Schmelzwasser eines Schneefelds, fällt das Wasser hunderte Meter die Wand runter. Ich weise meine Freundin Franziska auf das Naturschauspiel hin und sie meint sogleich: „Könnte man da nicht eine Erstbegehung machen?“. Ich musste schmunzeln und verkneife mir ein: „Wie? mit einem Schnorchel?“. Meine Augen hängen nämlich bereits an den schwarzen kompakten Platten fest und in Gedanken versuchte ich eine Linie durch die Wand zu ziehen welche mich bereits in ihren Bann gezogen hat.
Einige Wochen vergehen, die Wand bleibt lange nass, immer wieder kreisen die Gedanken um diese Linie. Die Wand ist steil und anspruchsvoll, nur wenn einige, aus der Ferne nicht sichtbare Strukturen auftauchen, wäre eine Durchsteigung für uns möglich. Um dies herauszufinden, müssen wir einen Versuch wagen. Der Reiz einer Erstbegehung hat uns erfasst.
Mit der notwendigen Ausrüstung stehen wir unter der Wand, der Blick nach oben scheint noch unsicherer als der Wetterbericht. Doch siehe da, direkt am Einstieg eine prächtige Sanduhr, die als erster Standplatz dient. Über eine einfache Rampe steige ich in die Wand ein. Dank zweier Sanduhren wage ich mich in die darübergelegene Platte. Die Kletterei ist elegant und der Fels ausgezeichnet. Franziska steigt nach, doch dann schieben sich Wolken über uns und mit den ersten Regentropfen treten wir den Rückzug an.
Eine Woche später sind wir wieder da und ich will das große Fragenzeichen lüften. Ober uns wartet ein steiler und nasser Kamin, der kaum kletterbar aussieht. Ich quere also über eine Platte nach rechts und entlang einer steilen Verschneidung gelange ich unter zwei markante Wasserstreifen. Entlang des rechten verläuft ein Riss. Er sieht anziehend schwer aus, könnte aber die ideale Umgehung des Kamins sein. Dazu müssten wir uns aber eine bessere Taktik ausdenken. Mit viel Motivation weiterzumachen, treten wir erneut den Rückzug an.
Ein milder Winter zieht ins Land, den wir weit weg in Dresden verbringen. Wir gehen unserem Training in der Kletterhalle nach und steigern im Elbsandsteingebirge unsere Moral, denn die Route am Plattkofel haben wir immer im Hinterkopf.
Im August sind wir wieder in den Dolomiten und kehren sogleich zu unserem Projekt zurück. Durch den heißen Sommer ist selbst der Kamin trocken und wirkt plötzlich weniger abweisend: ich muss einen Versuch wagen. Die ersten Meter lassen sich noch problemlos bewältigen, doch dann wird der Fels steiler und macht einen teilweise modrigen Eindruck. Ich lege zwei Friends und wagen mich höher, dabei trete ich einen Stein los, der genau auf Franziska fällt. Zum Glück kommt sie mit dem Schrecken davon, doch dieser sitzt tief und ein weiterer Versuch weiter rechts scheint heute undenkbar. Wir essen unsere mitgebrachten Brote genüsslich auf und seilen ab.
Ich hatte mir von diesem Versuch viel erwartet und war enttäuscht, doch die Motivation brannte uns noch unter den Fingern und nach nur einer Woche stehen wir erneut am Wandfuß.
Wir wählen eine neue Taktik. Über die Route Tanz über der Tiefe bewältigen wir den unteren Wandteil und gelangen zügig bis unter den steilen Riss, der Schlüssel zum oberen Wandteil. Es ist ein kalter und windiger Tag, mit klammen Fingern lege ich mir Friends, Express, einige Haken und Felshammer am Klettergurt zurecht. Die ersten Meter sind noch etwas unsicher, der Riss erlaubt es mir aber einige gute Friends zu legen und ich steige höher. Die Kletterei ist steil und anstrengend, die viele Ausrüstung an meinem Gurt wiegt schwer. Der Riss zieht gnadenlos nach oben, doch Stück für Stück wage ich mich höher. Ein letzter steiler Abschnitt liegt vor mir, ich lege noch einen guten Friend und studiere die nächsten Meter vor mir. Ich fühle die physische und mentale Anstrengung, weiß aber, dass ich es schaffen kann, diesen einmaligen Riss ohne Haken gleich bei der Erstbegehung zu durchsteigen. Von diesen Momenten träumt man schon, bevor man in die Wand einsteigt. Ich überklettere den letzten Überhang und über eine Platte gelange ich in leichteres Gelände und mache Stand. Ich fixiere ein Seil und seile wieder zum Stand ab. Ich bin voll Euphorie, doch Franziska ist richtig durchgefröstelt und will sich den Riss nicht zumuten. Zusammen klettern wir zwei Seillängen der Route Tanz über der Tiefe höher und queren über ein Band zurück zu unserer Erstbegehung.
Nach einer kurzen Rast gehen wir den letzten Abschnitt an. Die schwarzen Platten sind anspruchsvoller als erwartet, aber zahlreiche Sanduhren weisen uns den Weg. Langsam werden unsere Arme müde und die Konzentration stumpft ab. Die Handgriffe werden automatisiert durchgeführt und die Bewegungsabläufe zunehmend mechanisch. Ich kenne das, man sehnt sich nach dem Ende der Anstrengung, doch rückblickend sind es genau diese Momente, welche einem am stärksten in Erinnerung bleiben. Irgendwann entfliehen wir auch dem eisigen Schatten und eine angenehme Nachmittagssonne scheint in die Wand. Sie gibt uns neuen Energie zum Weiterklettern und obwohl das letzte Stück länger ist als von unten vermutet steigen wir gegen Nachmittag auf dem Plateau des Plattkofels aus.
Die Sonne scheint über die grünen Weiden der Seiser Alm und wir blicken hinunter zu unserer geliebten Almhütte, von wo aus dieses Abenteuer begonnen hat. Nun stehen wir oben, glücklich und voller Stolz diese Herausforderung gemeistert zu haben. Der Kreis schließt sich, höher können wir nicht mehr klettert. In der Wand haben wir nur wenige Haken und einige Schlingen hinterlassen und nichts mitgenommen und doch gehen wir erfüllt ins Tal. Der Alpinismus ist ein faszinierendes Spiel, besonders wenn die richtige Person dabei ist.
Skidurchquerung Dolomiten - von Gröden bis Sexten
Letzten Winter sind Titus, Alex und Martin zu einer Skidurchquerung von Gröden nach Sexten aufgebrochen. Bei besten Verhältnissen konnten sie in vier wunderbaren Tagen ihre Spuren in den unberührten Schnee ziehen. Alex hat ein kurzes Video zusammengestellt :)
"Chimera Verticale" d’inverno
Dal 29 febbraio al 02 marzo Titus Prinoth e Alex Walpoth hanno realizzato la prima salita invernale di una difficile via sulla parete nord ovest del Monte Civetta.
Il racconto di Alex Walpoth.
Trovo difficile raccontare giornate vissute in parete. Tanti sono i pensieri, le emozioni, le sensazioni, le paure svanite; inoltre, tutto è attorcigliato come il cordino sottile che siamo soliti utilizzare per sollevare il saccone. Sciogliere questi nodi, sia quelli reali che anche quelli nella testa, richiede lavoro e pazienza. Spesso torno a guardare le foto, che mi aiutano a ricordare, però mi spingono verso un asciutto ordine cronologico nel racconto. Spero lo stesso di riuscire ad andare oltre i fatti.
28 febbraio – Eccoci di nuovo davanti a lei, la parete delle pareti, la quintessenza di un alpinismo dolomitico severo. La parete Nord-Ovest del Monte Civetta non cede di stupire Titus e me. Il giorno prima mi sentivo stanco, non ero in me. La scelta del materiale è avvenuta sotto stress, automaticamente.
Fortunatamente la vista dell’immensa parete fa tornare motivazione e confidenza. Incontriamo Valter, gestore del rifugio Tissi. Alle sette del mattino è già in piena forma. Un suo amico ci porta col quad fino al Pian dei Sech, dove ci offrono pure il caffè. Chiaramente accettiamo, contenti di rimandare ancora un po’ l’inevitabile caricamento dei pesanti zaini sulle spalle. Quando risaliamo verso il Coldai, il sole è già alto e trasmette tanto calore. Presto raggiungiamo la forcella Coldai e ci rechiamo nelle ombre della sognata parete. Anche qui la neve tiene bene e ci sono pure delle tracce, così giungiamo all’attacco senza grande fatica. Fissiamo i ramponi e prendiamo in mano una singola piccozza. Ci divertiamo a salire il nevaio e il conseguente zoccolo. Il movimento monotono permette ai pensieri di vagare e improvvisamente mi viene in mente la discussione della sera prima, che riguardava chi avrebbe portato i rinvii. Con un cattivo presentimento chiedo a Titus se si è ricordato di portarli. Dal suo sguardo disperato capisco subito che non è il caso. L’avventura sarebbe già conclusa qui? Non prendiamo in considerazione questa possibilità, ma pensiamo subito a trovare una soluzione. Farne a meno è possibile in teoria, ma è oltremodo snervante. L’unica nostra salita senza rinvii sul “Nes” al Sassolungo si era conclusa con un bel volo e una corda mezza strappata. Insomma, non era stata un’esperienza incoraggiante. Valter ci ha raccontato che Alessandro Baù e compagni sarebbero partiti il giorno seguente su “W Mejico Cabrones” e che hanno già portato un saccone all’attacco. Se prendessimo i loro rinvii? Chiamo subito Ale: non esita un secondo a prestarci i loro rinvii e ci augura una buona scalata. Ci saremmo visti il giorno seguente. Tocca ovviamente a Titus fare un secondo giro sullo zoccolo. Meno male che abbiamo appena superato due terzi. Io continuo a salire con tutta la calma e arriviamo comunque contemporaneamente all’inizio di “Chimera Verticale”. La roccia è quasi del tutto pulita, non tira un filo di vento e la temperatura è più che accettabile, intorno agli zero gradi. Saliamo un primo tiro con gli scarponi. Poi Titus calza le scarpette e supera con bravura un tiro di quinto superiore. Anche io e il saccone saliamo leggeri, quest’ultimo “aiutato” dalle forti braccia di Titus. Dopo quattro stupendi tiri ci diamo il cambio. Oramai è spuntato il sole dietro la Piccola Civetta. Ci accorgiamo che è inverno solamente per il paesaggio bianco e mozzafiato che ci circonda. E per il fatto che la mia forma non è al massimo. Sento le innumerevoli sciate nelle gambe, pesanti e rigide. Mi tocca salire una fessura assai liscia e scabrosa. In cima non riesco a trovare la sosta, sarà nascosta sotto la neve. Le due picche e il martello sono giù da Titus, dove non servono a niente. Non riesco a rimuovere la neve dura con le mani nude o le scarpette morbide. Avendo salito cinquanta metri non posso utilizzare il cordino per recuperare una piccozza, altrimenti Titus non raggiungerebbe più la fine. Non mi resta che utilizzare una delle due corde per abbassare il cordino. Purtroppo, non ci capiamo bene: Titus non recupera il cordino e ne risulta un tremendo casino, col cordino bloccato e un friend incastrato. Alla fine, risolvo il problema recuperando una picca con l’aiuto di una delle due corde.
Dopo aver trovato la sosta sotto la neve calo nuovamente la corda per il saccone e sicuro Titus sull’altra. Abbiamo perso un bel po’ di tempo, ma non abbiamo fretta. Avendo con noi la portaledge possiamo fermarci ovunque. Il sole s’avvicina all’orizzonte. Mi piacerebbe godere gli ultimi raggi seduto nella portaledge, ma non sarà il caso. Superiamo un ultimo tiro non difficile, ma con roccia delicata. Creo una sosta con tre friends in un ottimo posto per montare la tenda. Le tenebre sono più veloci di noi. Al buio prepariamo la cena: cuscus al formaggio e tonno. Sciogliamo neve fino a tardi. È un lavoro monotono, solo interrotto da un intenso crampo alla gamba di Titus. Quando abbiamo concluso tutti i preparativi per la notte, sono ormai le undici di sera. Un’ultima occhiata alle luci lontanissime di Alleghe e ci ritiriamo nei sacchi a pelo, chiudiamo il telo e gli occhi. Ci sentiamo sicuri e dormiamo quasi immediatamente.
In un bivacco scomodo ti svegli prima dell’alba e non vedi l’ora di ripartire. In altri casi non vuoi affatto abbandonare il calore all’interno del sacco a pelo. Il secondo giorno su “Chimera Verticale” vivo quest’ultima sensazione e mi sembra che anche Titus non abbia grande voglia di alzarsi. Infatti, ci siamo fatti una bella dormita. A colazione mangiamo il solito strudel, riempito di noci. Avrei preferito il papavero, ma Titus ha vinto a carta-forbice-sasso. Quando tutto è di nuovo caricato nel saccone arriva il momento più sgradevole, quello d’infilarsi le scarpette, fredde e rigide. Fortunatamente ci riscaldiamo presto. Dopo due tiri facili giungiamo sotto quello più duro. Toccherà a Titus, perché io l’avevo già salito sette anni fa da primo, quando avevo ripetuto la via insieme a Martin Dejori. Sulle piccole prese il freddo si fa di nuovo sentire. Titus si ferma più volte per aspettare che torni la sensibilità nelle sue mani. Con successo, perché viene a capo del tiro senza alcuna caduta. Ispirato dalla sua bella prestazione mi arrampico bene e lo raggiungo, sì con le mani congelate, ma fiducioso per il tiro seguente. Questo rappresenta un bel viaggio, non meno difficile, che si svolge prevalentemente in fessura. Dopo cinquanta metri di scalata stupenda, mi capita un’altra volta di non vedere la sosta a causa di un accumulo di neve. Ma intanto il martello è al posto giusto, attaccato all’imbrago del capocordata, e mi basta scavare brevemente. Dopo un altro tiro meraviglioso arriviamo sotto il famoso traverso di settimo grado, che l’ultima volta mi aveva fatto gelare il sangue, seppure fosse estate. Si tratta di una breve fessura, anzi sottile cengia orizzontale. Il bordo è abbastanza scosceso e gli appoggi sono pressoché inesistenti. Non è possibile posizionare protezioni e nel caso di una caduta andresti a schiantarti in un diedro. Sono contento che Titus si assume questo tiro. Lo risolve senza indugi. A un certo punto si volge pure verso di me facendomi: “Lo sai qual è il trucco? Basta non guardare indietro”. Infatti, Titus fa molto meglio a guardare verso l’alto, dove c’è la sosta ed è appena arrivato il sole. Attratto dalla prospettiva del calore lo seguo velocemente, e la paura dell’ultima volta viene sostituita da puro piacere di rimanere attaccato alla roccia ruvida. Solo tre tiri, due d’ottavo grado e uno facile, ci separano dalla vetta, che però in questo momento ci sembra insignificante, nient’altro che una struttura rocciosa per la quale dobbiamo per forza passare. Siamo qui per vivere momenti come questi, leggeri e baciati dal sole su una parete incomparabile, che d’inverno in realtà è l’incarnazione di gelo e difficoltà. Forse sono proprio i contrasti che rendono l’arrampicata e la vita così preziosi. Però anche questa volta non sono le emozioni a portarci in cima, bensì gli impulsi che ci fanno compiere i gesti. Infatti, alle fine dobbiamo stringere e tirare fortemente, soprattutto nella fessura oltremodo strapiombante del penultimo tiro. Concluso il quale siamo in disaccordo: il sole sta decisamente calando e io sono ancora fissato con l’idea di sentire la bellezza del tramonto steso nella portaledge. Titus è per la cima, perché non sopporta il pensiero di dover mettersi un’altra volta le scarpette il giorno dopo. Non c’è modo di convincerlo, così scalo l’ultimo tiro un po’ frustrato e mi arrabbio quando arrivo in cima senza secchiello per fare sicura. Il risentimento è di brevissima durata, si dissolve nel nulla nel momento che realizzo che ce l’abbiamo fatta. Mi fa anche felice la tenda montata direttamente sotto la cima. Fa buio, ma di sole ne avremo comunque fin troppo il giorno dopo durante la discesa. La sera passa tra sciocchezze e il cibo rimasto, e chiaramente il continuo sciogliere di neve sul fornello.
Viviamo l’alba in cima alla Punta Civetta. È una colazione veramente particolare. La discesa per la ferrata degli Alleghesi non comporta grossi problemi, anche se presto la neve è molle. Meno male che ieri non ci siamo fermati prima dell’ultimo tiro. La nostra forza di volontà viene messa a dura prova un’ultima volta sul percorso verso il rifugio Coldai. Siamo veramente stanchi, più del solito, ma è anche stata un’avventura che ci ha regalato più del solito. Spendiamo la giornata, che sarà ancora lunga, in ottima compagnia e abbiamo la parete, sulla quale si stanno ancora arrampicando i nostri amici, sempre davanti agli occhi.
"Legrima" - Eine Erzählung aus wechselnder Perspektive.
Am 21-22. Dezember 2020 schafften Titus Prinoth und Alex Walpoth die erste Wiederholung der außergewöhnlichen Eisroute "Legrima" am Langkofel.
Alex: Der Langkofel thront erhaben über das Grödnertal. Für ihn gelten eine andere Zeitrechnung und eine andere Größenordnung als für uns Menschen. Aber auch er zeigt eine menschliche Eigenschaft, vergießt Tränen. Sehr selten gefrieren diese zu Eis, wahrscheinlich alle zehn Jahre einmal. Dann bildet sich die “Legrima”: Für uns Alpinisten ist es ein einzigartiges Ereignis, für den Langkofel wohl bloß ein Wimpernschlag in seinem ewigen Lebenszyklus.
Adam Holzknecht verfolgte diesen Zyklus jahrelang sehr genau und tatsächlich wurde er für seine Geduld belohnt, als die Tränen des Langkofels im Winter 2012/2013 an der senkrechten Nordostwand zu Eis erstarrten. Mit Hubert Moroder konnte er die faszinierende Eislinie erstbegehen.
Sieben Jahre später wiederholte sich das seltene Ereignis: Ende Oktober letzten Jahres benetzte der Langkofel seine Nordostwand mit einem dünnen Eisschlauch. Wir fuhren zu diesem Zeitpunkt jedoch schon in die südliche Dolomiten und einen Monat später wurde auch die restliche Wand von einer mächtigen weichen Schneedecke bedeckt. An die “Legrima” hatte ich schon lange nicht mehr gedacht, als Titus mich an einem winterlichen Dezember-Nachmittag anrief.
Titus: Inspiriert von Erzählungen malte ich mir bereits im Jugendalter aus, wie es sich wohl anfühlen würde, an einer gefrorenen Wasserstruktur mitten in der Langkofel-Nordostwand zu hängen. Vom Gedanken, diese wunderbare Eislinie direkt vor der Haustür zu klettern, kam ich nicht mehr los. Im Spätherbst 2020 zeigte sich die “Legrima” nun wieder das erste Mal in überraschend einladender Gestalt. Während eines Arbeitstages am Fuße des Langkofels im Dezember zeigte mir ein Blick durch das Fernrohr, dass die Eisqualität erstaunlich gut schien. Da war aber auch Schnee. Viel Schnee. Zweifel kamen auf. Doch wie lange bliebe die Träne des Langkofels noch erhalten? Immerhin hatte es mehrere Tage nicht mehr geschneit und langsam reifte der Gedanke heran, die Wand trotz recht ungünstiger Verhältnisse zu versuchen.
Nun musste ich nur noch den Kletterpartner ausfindig machen. Wer würde spontan, so kurz vor Weihnachten, gemeinsam mit mir diese Gedankenspiele in ein wirklich erlebtes Abenteuer umsetzen? Nach einem kurzen Telefonat mit Alex war klar, dass wir zwei Tage darauf starten würden. Zwei gut investierte Stunden im Walpoth-Materialmagazin und die Rucksäcke standen bereit. Am 22.12.2020 um sieben Uhr morgens geht es los.
Alex: Den Weg vom Sellajoch hatten wir mit Schneeschuhen zurückgelegt, diese versteckten wir nun unter einem großen Felsblock. Titus überraschte mich mit Weihnachtskeksen. Eine zusätzliche Thermos-Kanne hatten wir auch mitgebracht. So genossen wir unser zweites Frühstück, während die Dunkelheit langsam einem nebligen Tag wich. Titus fragte, ob ich starten wollte. Ich konnte nicht ablehnen. Die "Pichl"-Route war ich schon zwei Mal im Winter und ein paar Mal im Sommer geklettert. Daher kannte ich den Verlauf auswendig. Im Winter sind die Verhältnisse trotzdem sehr veränderlich. Dieses Mal mussten wir mit viel lockerem Schnee zurecht kommen. Die kleinen Griffe und Tritte waren zum Glück schneefrei, weil der große Schneefall schon länger zurück lag. Die Sonne erschien nur für wenige Minuten, in denen sie die Wand, welche aus einem dichten Wolkenmeer auftauchte, in eine magische Atmosphäre tauchte. Wir versuchten von der Wärme so viel wie möglich einzufangen. Uns war bewusst, dass wir die Sonne zwei Tage lang nicht mehr sehen würden. Eine heikle Querung brachte uns zum großen Schneefeld unter dem gefrorenen Wasserfall. Dieser Abschnitt nennt sich im Ladinischen “dal’eghes”, was soviel wie “beim Wasser” bedeutet. Es ist die Stelle, wo die Tränen des Langkofels über einen breiten Überhang abfließen. Im Sommer quert man weiter nach rechts, um die Dächer zu meiden. Adam und Hubert hatten hier schon Eis vorgefunden, mussten davor aber trotzdem einige schwierige Züge im Fels bewältigen. Wir fanden nur lauter Schnee vor. Trotzdem wollten wir die Legrima in ihrer originalen Linie klettern. Unter dem Dach angelangt machte ich ausladende Spreizschritte, um möglichst viel Gewicht auf die Füße zu verlagern. Zunächst musste ich die Griffe vom Schnee befreien, nach jedem Zug aufs Neue. Ich war an der Dachkante angelangt und platzierte einen Friend, dem ich nur moralische Bedeutung beimaß. Jetzt wo die Wand sich langsam zurücklehnte, war sie auch von mehr Schnee bedeckt: Die Schwierigkeiten blieben also konstant. Ich setzte den linken Fuß auf einen kleinen Tritt, durch die dicke Sohle konnte ich den Halt nur schlecht beurteilen. Ehe ich verstand, was geschah, fand ich mich fünf Meter tiefer im Seil hängend wieder, vollkommen mit Schnee bedeckt. Sobald Titus verstand, dass mir nichts passiert war, brach er in Gelächter aus. Mein plötzlicher Abgang amüsierte ihn. Sein Gleichmut sprang auf mich über. Ich zog mich schnell hoch, staunte kurz über den Friend und kletterte entschieden über die Stelle drüber. Als Titus wenig später die Seilführung übernahm, war ich trotzdem erleichtert.
Titus: Die erste heikle Passage war überwunden. Wo andere Seilschaften eher an einen Rückzug denken, lachen wir uns beinahe gegenseitig aus. Wahrscheinlich ist genau diese Gelassenheit eine unserer Stärken. Der Sturz von Alex und dessen glimpflicher Ausgang hatte irgendwie die Atmosphäre gelockert. Doch Alex war nun lange genug an der Spitze der Seilschaft, es war Zeit ihn abzulösen. Bei Begehungen dieser Art hat oft der Vorsteiger nicht die physisch anstrengende Arbeit, sondern muss psychisch sehr viel leisten. Der Nachsteiger hingegen hat meistens einen schweren Rucksack und somit ist die Abwechslung immer beiden willkommen. Mit großer Motivation und etwas Übereifer konnte ich gleich ein Schneefeld hinauf stapfen, wobei ich in der darauffolgenden Seillänge schnell in die Realität zurück katapultiert wurde. Am Ende des Schneefeldes brach ich durch den lockeren Schnee und musste die letzten zehn leicht anlehnenden Meter von den weichen Schneemassen erstmal befreien, ehe ich irgendwie am Felsen hochklettern konnte. Gut aufgewärmt konnte ich nun die steilsten Seillängen in Anspruch nehmen. Ein kurzer Quergang führte mich in Falllinie der Träne des Langkofels, die im unteren Teil nur spärlich zu Eis gefroren war. Oft wechselte ich zwischen Pickel und bloßen Händen, was viel Zeit in Anspruch nahm. Eine solide Sanduhr, die durch eine Reepschnur markiert war, gab mir etwas Sicherheit, um die darauffolgende, abweisende, vertikale Felspassage zu überwinden. Wenige Meter weiter oben sah ich wieder eine dünne Eisglasur. Das Klettern mit bloßen Händen war unangenehm denn sobald die Wand etwas weniger steil wurde, war überall ein feiner Schneestaub vorzufinden. Diesen hatten die Spindrifts befördert, die mittlerweile immer häufiger wurden. Ein Spindrift besteht aus feinkörnigem Schnee, der durch Wind in steile Hänge aufgewirbelt wird und als eine Art Lawine im Kleinformat dem Bergsteiger für Minuten die Sicht nehmen kann. Der typischerweise sehr trockene Schnee dringt an kleinsten Öffnungen in die Kleidung ein. Sofort erinnerte ich mich an die Erzählungen der Erstbegeher, die auch von diesem äußerst unangenehmen Phänomen gepeinigt wurden und fragte mich, ob uns nun das Gleiche erwarten würde. Tatsächlich hatte Alex beim Nachsteigen sehr viel Schnee um die Ohren. Die längste Nacht des Jahres rückte schnell näher, und in der nächsten Seillänge kletterte ich schon im Licht der Stirnlampe. Die Eisqualität war sehr schlecht, sodass ich großteils daneben auf Fels klettern musste. Der Sonnenuntergang, jener Moment, wo immer etwas mehr Wind aufkommt, war nun schon längst vorüber, somit ließen auch die Spindrifts nach. Nach sechzig steilen Metern erreichte ich erschöpft eine Mulde, wo ich Stand bauen konnte. Wir hatten den geplanten Biwakplatz erreicht.
Alex: Die ständigen Spindrifts hatten dazu geführt, dass mir schon ziemlich kalt war, als ich endlich zu Titus aufschloss. Der Gedanke, mich in einem warmen Schlafsack zu verkriechen trieb mich an, aber vorerst war noch viel Arbeit erforderlich. Wir wussten, dass Adam und Hubert auf kleinen Absätzen etwas rechts der gefrorenen Tränen geschlafen hatten. Einmal hatte Adam auch erwähnt, dass wenig drüber eine kleine Nische sein müsste. Ich suchte den Wandbereich gründlich ab. Von einer Nische, die zum Übernachten taugte, war leider keine Spur. Zumindest strömte nach der Suche wieder ein bisschen Wärme durch meinen Körper. Wir machten zwei Stellen aus, wo wir durch Abtragen des Schnees eine ebene Fläche schaffen konnten, zehn Meter voneinander entfernt. Nach einer warmen Suppe zog sich jeder zurück. Der Schnee war so locker, dass meine Schlafunterlage immer wieder ein bisschen nachgab, solange ich darauf herum trat. Erst als ich im Schlafsack lag, blieb alles still. Es waren mir einige angenehme Stunden vergönnt, obwohl die nasse Kleidung mich immer wieder aus dem Schlaf riss. Nach Mitternacht beschlich mich plötzlich das Gefühl, nach außen gedrückt zu werden, Richtung Abgrund. Es hatte leichter Schneefall eingesetzt. Aufgrund der trichterförmigen Schneeflanken oberhalb des Eisfalls sammelten sich jedoch beachtliche Mengen Schnee, die im regelmäßigen Abstand von etwa fünf Minuten die Legrima hinunter rauschten und auch Titus und mich nicht verschonten. Der Schnee gelangte überall hin, auch in den Schlafsack und zwischen diesem und der Felswand, sodass mein kleiner Absatz im Schnee immer schmaler wurde. Irgendwann konnte ich mich dem Sog der Tiefe nicht mehr entgegenstemmen. Es blieb mir nichts anderes übrig, als mich in den Gurt zu setzen und den Schlafsack so fest wie möglich zu verschließen. Mittlerweile war alles durchnässt und die Kälte kroch in meine Knochen. Das würden die längsten Stunden meines Lebens werden. Die regelmäßigen Schneelawinen erinnerten mich daran, dass die Zeit doch irgendwie weiterging und trotzdem hoffte ich, dass sie endlich aufhören möchten. Musik, ein Podcast, ständiges Reiben der Hände an den Oberschenkel und die verrücktesten Gedanken brachten mich durch die Nacht. Normalerweise verlasse ich den Schlafsack am Morgen nur ungern: Diesmal sehnte ich es herbei. Im ersten Licht des Morgens hatte ich schon alles zusammengepackt. Der Schlafsack war mit Schnee gefüllt, die Matte verschüttet. Ich musste auf Titus warten. Er war zwar etwas besser durch die Nacht gekommen, an Schlaf war aber auch nicht zu denken. In der Nacht hatte ich mir schon den Rückzug im kleinsten Detail ausgemalt. Dank des Tageslichts schöpften wir neue Zuversicht. Ein warmes Elektrolyt-Getränk schenkte uns Energie. Das blaue Eis schimmerte verlockend. Ich kletterte los. Mit jedem Pickelschlag taute mein Körper etwas auf. Das Eis war mit jenem vom Vortag nicht zu vergleichen: Es war zwar weiterhin dünn, aber stabil und trotzdem weich; im Grunde perfekt zum Klettern. Ich ging vollkommen in den Bewegungen auf und genoss die eindrückliche Atmosphäre. Die furchtbare Nacht schlich sich unmerklich aus meinen Gedanken. Nach drei wunderbaren Längen wechselte ich mich mit Titus ab, der nach der anspruchsvollen Erfahrung weiter unten endlich auf gutem Eis vorsteigen wollte.
Titus: Um nicht die letzte Seillänge des vorherigen Tages in Erinnerung zu behalten, wollte ich unbedingt noch eine Seillänge auf gutem Eis vorsteigen. Alex hatte gerade eine schwierige aber wunderschöne Mixed-Länge sauber gemeistert und nun war klar, dass die großen Schwierigkeiten hinter uns lagen. Schmatzend verschlangen meine Petzl Nomic jeden Meter Eis, sodass wir nach zwei genüsslichen Seillängen das riesige Amphitheater erreichten. Nun wurde uns vor Augen geführt, warum wir in der letzten Nacht dermaßen leiden mussten. Der riesige trichterförmige Kessel war geradezu optimal gebaut, um Schnee zu sammeln und es genau über die "Legrima" abfließen lassen. Die nasse Kälte war aber längst vergessen und wir freuten uns diesmal wirklich die Schneeflanken Richtung Gipfel zu spuren, denn diese anstrengende Arbeit würde uns endlich ordentlich aufwärmen. Das mühsame Schneestampfen lässt die Gedanken in die Ferne schweifen und die Zeit vergessen. Schon bald stehen wir am Gipfel.
Pfeifender Nordwind ließ uns dort nicht lange ausharren, aber die Minuten waren für uns wertvoll, wirkten wie eine Ewigkeit: Ein Moment, wo eine große Anspannung nachlässt, aber die Konzentration aufrecht bleibt. Wie uns schon von Kind auf gelehrt wurde, ist uns stets bewusst, dass eine Tour erst zu Ende ist, wenn man wieder am Fuße des Berges steht. Andererseits bereitete uns der Abstieg keine Sorgen mehr, denn wir kannten jeden Meter davon. Dazu wussten wir, dass man im Winter mit einigen Tricks viel schneller als im Sommer absteigen kann. Es war zwei Uhr nachmittags, als wir den Abstieg antraten und wegen der frühen Stunde und den nassen Schlafsäcken stand eigentlich außer Frage, dass wir bis ins Tal absteigen würden. Einige taktische Abseiler und ein flinker Laufschritt über die Eisrinne ließen den Abstieg kurz wirken. Auf der letzten Schneeflanke legten wir noch ein Rast ein. Die Steigeisen und den Klettergurt legten wir in den Rucksack, jetzt nahm die Hangneigung nur noch ab. Die von uns so sehr geliebte Vertikale lag hinter uns, doch in diesem Moment waren wir froh, nur mehr über die wunderschönen Cunfin-Böden spazieren zu müssen.
Schon bald verstanden wir aber, dass uns auch hier nichts erspart bleiben würde. Mit jeden Schritt brachen wir dreißig Zentimeter in den weichen Schnee ein. Wir waren müde. Der verdammte Schnee. Wie so oft verspürten wir eine Hassliebe. Die bleierne Müdigkeit, der verdammte pulvrige, bodenlose Schnee; doch wieso ist es trotzdem so schön? Warum überwiegt zum Schluss immer die Liebe?
Technische Details:
Legrima - Langkofel-Nordostwand
WI 6, M6, V+, 2 Stellen A0
1000 m
Erstbegangen von Adam Holzknecht und Hubert Moroder, 07-08.01.2013
Guardiano dei sogni - Via nuova sulla Terza Pala di San Lucano
Dal 1° al 4° novembre 2020 Titus, Martin e Alex sono riusciti ad aprire una via nuova nel fantastico mondo delle Pale di San Lucano. Ecco un breve racconto dell'avventura, tra le piu intense vissute dal trio.
Di Alex Walpoth.
L’anno scorso a giugno Titus e io eravamo riusciti a salire una via nuova sulla Seconda Pala di San Lucano: la “Via dei ritorni” (VII+ A1, 435). Con il nome volevamo esprimere la nostra speranza che la valle, che era stata colpita duramente dall’uragano “Vaia” l’anno precedente, tornasse ad essere come prima. In fondo sapevamo che anche noi saremmo ritornati in questo stupendo posto. In un certo senso la Seconda Pala era una preparazione per la Terza, ancora più alta, lontana e ripida.
Sulla Terza Pala siamo in tre, nei nostri occhi il numero perfetto per una prima ascensione difficile. Ci sarà anche Martin, compagno di numerose avventure. Calcoliamo di restare in parete quattro giorni, forse anche di più. Dipenderà dalle difficoltà e dai litri di acqua che riusciamo a trasportare. La miglior stagione per arrampicare sulle Pale di San Lucano è l’autunno, poiché le pareti principali sono rivolte a sud e la quota è bassa. D’estate il caldo e la mancanza di acqua sarebbero una combinazione fatale, soprattutto per una lunga permanenza in parete.
A fine ottobre di quest’anno particolare siamo in buona forma, abbiamo del tempo libero e non vediamo l’ora di entrare in quel mondo a parte. La Terza Pala incombe maestosamente sulla Val di San Lucano, è la cima più lontana. La nostra meta è la parete meridionale, alta 1150 metri, che si impenna sempre di più man mano che sale verso il cielo. La fascia gialla a due terzi della parete rappresenta la maggior incognita, è la parte che abbiamo studiato estesamente e già percorso diverse volte nei pensieri.
Partiamo il 1° novembre di buon mattino. Il fondovalle ci sorprende con un freddo pungente. Umidità si pone sulla nostra pelle. Con noi c’è Ivo, padre di Titus. Ci accompagnerà sullo zoccolo fin sotto alla parete vera e propria, in spalla un bel po’ di materiale. Il peso dei 60 chiodi si fa sentire, ma saranno indispensabili. Al trapano e spit abbiamo rinunciato. Arriva il momento di salutare Ivo, d’ora in poi potremo solamente contare sulle nostre capacità. In realtà deciderà la parete se riusciamo a passare, rimane lei la guardiana sui nostri sogni.
Gran parte della vegetazione è bruciata, lasciando macchie di roccia bianca. In questo modo ci sono prese che prima probabilmente erano coperte dall’erba, ma la roccia è anche assai friabile. Avanziamo lentamente, perché la roccia richiede molta prudenza e il sacco è pesantissimo e s’incastra diverse volte nei mughi. Le difficoltà sono ancora contenute, si aggirano intorno al sesto grado. Un po’ prima del tramonto raggiungiamo la grande cengia che taglia l’intera parete. I gialli non li abbiamo ancora visti, sono ancora lontani. Pensavamo di arrivare più in alto, ma non affrontiamo insieme i nostri dubbi. Speriamo che passino con la notte.
Ci svegliamo presto. Alla prima luce Titus è già impegnato su un camino un po’ bagnato. I tiri oggi scorrono più veloci. Prima del grande prato ci ferma un breve strapiombo. Titus sale e scende qualche volta, poi decide che non è il caso di azzardare e grazie ad un chiodo a lama viene a capo del passaggio. Il sole batte spietatamente su di noi e dobbiamo costringerci a non bere troppo. Finalmente ci troviamo sul prato e scorgiamo la fascia gialla. Sembra difficile, se non impossibile, ma si vedrà più avanti. Prima ci aspetta ancora una sezione grigia, più ripida che finora. Dopo cinque stupendi tiri di placca, eccoci all’imbrunire sotto la grande incognita. La nostra speranza di allestire subito il bivacco si frantuma. La cengia che si accennava sulle foto non c’è. Più a destra si vede il posto da bivacco dei belgi Vanhee e Leduc, sembra l’unica possibilità per trascorrere la notte più o meno comodamente. Mentre Titus attrezza il traverso con la corda statica, affronto i primi metri gialli. Accendo la lampadina frontale. Titus invece ha dimenticato di indossarla ed è costretto a battere chiodi al buio. Esulto per le buone prese che non mi aspettavo. Siamo su di morale perché gli strapiombi si rilevano possibili. Domani sarà la giornata decisiva. Intanto siamo felici di infilarci nei sacchi a pelo. La stanchezza ci regala di nuovo un sonno profondo e rilassante.
Il giorno seguente torno al punto più alto raggiunto e non vedo l’ora di arrampicare sulla sezione che avevo già studiato con grandi dubbi la sera. Grazie alla luce del sole tutto è più logico. Svolgo passaggi fantastici su roccia perfetta e presto recupero gli amici. Salgo un altro tiro stupendo e do il cambio a Titus. Raggiunge una sporgenza in mezzo agli strapiombi. Il prossimo tiro sembra veramente duro. Una fessura nera obliqua verso sinistra ci indica una possibile via di salita. Una volta lì, Titus decide di salire dritto seguendo un’incredibile successione di piccoli buchi . Trova persino una clessidra che gli permette di azzardare su una tacca minuscola. Con successo, e già è alla prossima sosta. È il turno di Martin, che si lancia subito verso un tetto. Lo supera con bravura, dopo non lo vediamo più. Fa sosta su una clessidra enorme. La via d’uscita sembra chiara: una fessura strapiombante che finisce nell’ultimo tetto. È un tiro molto atletico e ci ruba l’ultima forza nelle braccia. Oramai non ci facciamo più caso dal momento che siamo colti dall’euforia. La fascia gialla è superata e la cima della Terza Pala è vicina. Vale però anche per il tramonto. Così ci corichiamo tra i mughi, che qui in alto sono stati risparmiati dal rogo. Sarà una serata di gioia. Beviamo e mangiamo a volontà poiché siamo sicuri di scendere il prossimo giorno.
Il giorno dopo alle otto siamo già in cima. Il tempo è cambiato, tira un vento freddo e regna un’atmosfera di solitudine. Osserviamo il mondo maestoso e così particolare delle Pale di San Lucano dal loro punto più lontano dalla civiltà. A malincuore iniziamo con la discesa che ci impegnerà fino a mezzogiorno e poi lasciamo alle nostre spalle la montagna che ci ha coinvolti per quattro giorni indimenticabili.
Sotto il Monte di San Lucano ci sorprende Silvio De Biasio con birra, brioche e cioccolato. È un incontro che ci rimane altrettanto impresso come la via stessa. Sereni scendiamo a valle. L’avventura si conclude nella casa di Silvio, tra racconti, scherzi e l’ottima torta di Giulia. Arriva anche Ettore, fratello di Silvio, che con la sua ottima guida ci ha aiutato ad avvicinarci al suo amato mondo delle Pale di San Lucano.
Dettagli tecnici sulla via:
Guardiano dei sogni – Parete meridionale della Terza Pala di San Lucano
VIII+ A0
1400 m
Aperta da Titus Prinoth, Martin Dejori e Alex Walpoth 01-04/11/2020
Ressumé dl ann 2020
Pervia dla situazion cumplicheda de chësc ann, che ne messon nia spieghé plu avisa, ne pudron purtruep nia tenì la senteda generela dl GAG.
Perchël ons pensà de scrì tlo n curt ciunes che ie states la ntraunides plu mpurtantes dl ann 2020.
Do la senteda generela al scumenciamënt de jené fova la prima jita dl GAG de viers de Vals (Gitschberg Jochtal) per jì ala manifestazion “Tanz der Vampire”, ai 11 de fauré. Tlo ie unic pea 30 jëunes y jëuni y an propi na drëta hez. Chi ëssa pa ntlëuta dit che puech do ne pudoven nia plu fé na tel blota festa adum?
Ai 07 de merz sons mo stai boni de fé n’ultima jita cun la peves. Son furnei nchina la Capanna Alpina sota la Cima Scotoni y on fat na jita scialdi longia sun l Piz de Lavarella te Fanes. N fej feter 1300 metri de deslivel, che ne ie perdrët nia tan ngrum, ma ngrum de chilometri te trac scialdi plac. La beliscima natura nia tucheda dala persona se à scincà bela emozions. Propi canche fan per furné ju se à trat ite n nibl, nscì ne se on nia propi godù la bela nëif. Dut adum iel mpo stat na bela ventura, dantaldut ajache puech dis do ne pudoven belau nia plu jì dan porta.
De ansciuda ne iel nia unì a sl dé na jita, ma perchël à l cunsëi dl GAG scumencià a anjinié ca n nuef post da jì a crëp. I lëures ie jic inant dut l instà nchina tert de autonn. Ne on mo nia defin finà ma pudon bele sën ve mpermëter che l deventrà n beliscimo post da jì a crëp te nosta valeda. Canche fineron i lëures n auter ann de ansciuda dajeron tlo duta la nfurmazions. Ora de chël on mo baratà ora sun Cansla vel vedla ciadëina che fova mageda dal ruin.
De autonn sons pona furnei ju tla Val d’Ambiez tl grupo dl Brenta per jì doi dis alpin. 9 alpinistes y alpinisć à fat de beliscima vies sun bon crëp, per ejëmpl la Via Soddisfazione (nome est omen!) sun la Cima Ambiez, na via de 400 metri. Scialdi bel fovel ënghe dassëira tl Rifugio Agostini pra na bona cëina te na blota cumpania.
L 2020 ne fova dessegur nia l miëur ann, ma perchël finel almanco via cun na beliscima nëif. Davia che chësc ann jirà mo plu ngrum de persones cun la peves on ai 13 de dezëmber metù a jì na sëira sun la segurëza d’inviern. Nëus on fat tres mo n iede l tema cumplicà dla levines y on purvà a jì a crì cun l piepser, “sondieren” y giavé ora cun l badil. Per i 15 partezipanc iel stat na bona ucajion per se anjinié ca, ma sambën speron che l badil resterà for me te flucion (ora che per giavé n "Schneeprofil" per capì la strutura dla nëif).
Ulon to l ucajion per rengrazié duc chëi che nes sustën (Chemuns de Urtijëi, St. Crestina, Sëlva y Ciastel, Lia da Mont, Judacrëp, NJG) y che ie unic pea ala jites y ve mbincion n bel ann 2021 cun ngrum de sodisfazions y sanità.
N bel salut dal cunsëi dl GAG
Xylophon - Neutour am Heiligkreuzkofel
Vor einem Monat haben Martin Dejori, Titus Prinoth und Alex Walpoth ein seit vier Jahren offenes Projekt abgeschlossen. Alex hat das Abenteuer aufgeschrieben:
Am nächsten Tag würde Giorgio Moroder auftreten und das konnten wir auf keinen Fall verpassen. Dafür mussten wir unser Projekt am Heiligkreuzkofel (Gadertal) unvollendet zurücklassen. Aber die Berge sind bekanntlich geduldig, während vom Menschen geschaffene Ereignisse meistens einzigartig sind.
Am 11. August 2016 brechen wir früh am Morgen zum Heiligkreuzkofel auf, dieser majestätischen kilometerbreiten Felswand mit ihrer einzigartigen Dichte an schwierigsten und oft prekär abgesicherten Anstiegen. Unser Ziel ist der Wandbereich ganz links, der den 2907 Meter hohen Gipfelaufbau namens “Ciaval” bildet. George Livanos schuf hier bereits 1953 eine legendäre Route. Sein Bericht davon lässt ein großartiges Abenteuer erahnen. Dem äußerst brüchigen Gestein und anderen Widrigkeiten begegneten er und Robert Gabriel mit Gelassenheit und Ironie. So wollen auch wir an die Kletterei herangehen. Links der Livanos, da wo wir hinaufwollen, ist die Wand bei vergleichbarer Brüchigkeit noch steiler. Nach den ersten 40 Metern winkt aber schon Kalkfels allerbester Qualität. Die schwer auf den Schultern lastenden Rucksäcke lenken uns vom beschwerlichen Zustieg ab. Am Einstieg, den wir am späten Vormittag erreichen, erwartet uns eine Überraschung. Ein schöner Rucksack hängt dort in einer kleinen Nische, vollgefüllt mit Normalhaken und Seilstücken. Natürlich denken wir sofort, dass jemand die neue Route bereits begonnen hat. Erwartungsvoll legen wir unsere Köpfe tief in den Nacken, sehen aber nur blanken Felsen; keine Schlinge, keinen Haken.
Sollten wir den Rucksack also mitnehmen und dem Besitzer zurückgeben? Man kann schlecht eine Route reservieren, indem man einfach einen Rucksack unter die Wand stellt. Bevor wir uns in solchen Überlegungen vertiefen und wohl sehr schnell verlieren würden, wenden wir uns dem Klettern zu. Martin klettert los, einer Verschneidung entgegen, die nur durch arg brüchiges Gelände erreicht werden kann. Ein Kletterfluss kommt bei Martin erst gar nicht zustande, dazu ist er viel zu sehr mit dem Entfernen loser Blöcke beschäftigt. Schon bald bessert sich die Felsqualität und mit dem ersten Haken schwindet auch die Gefahr eines Sturzes mit unangenehmen Folgen. Die gelbe Wand und ein fragiler Pfeiler bilden die Verschneidung, in der Martin bedächtig nach oben spreizt. Zum Schluss quert er noch einige Meter nach rechts und schlägt zwei Haken, deren geschätzte Haltekraft den Erfordernissen eines Standplatzes entspricht. Ich steige nach und genieße die Kletterei, weil ich auch die unsicheren Griffe bedenkenlos belasten kann. Einmal mehr erstaunt mich, was alles hält. Vom Standplatz lehnt sich die Wand weit nach außen. Etwas drüber schlage ich einen weiteren Haken. Dieser bremst den folgenden Sturz, während der etwas höher geschlagene Haken den Weg nach unten zu meinem Gurt findet. Ein paar Haken später erreiche ich einen schrägen Riss, den man gut mit Friends absichern kann. Der Fels ist nun sehr kompakt und rau und würde sehr elegante Bewegungen zulassen, wenn meine Arme bloß nicht vom Hakenschlagen so ermüdet wären. Mittlerweile ist Titus über ein fixiertes Seil zu Martin aufgestiegen. Er klettert zu mir hoch, an seinem Lächeln und konzentriertem Blick kann ich erkennen, wie sehr er sich auf die nächste Seillänge freut. Vom Stand klettert er wieder etwas zurück und überwindet einen kleinen Überhang mithilfe eines langen Zugs. Nun hängt er mit den Armen an der Kante des schmalen Absatzes, die Füße verschwinden unter dem Überhang. Unter Aufwand von viel Kraft stemmt er sich nach oben, sodass die Füße den Platz der Hände einnehmen und letztere die darüber liegende glatte Wand abtasten, auf der Suche nach kleinsten Senkungen oder Vorsprüngen des Felsens. Nachdem die Hände dürftigen Halt gefunden haben ist der Cliffhanger an der Reihe. Darin verharrend kann Titus einen Haken schlagen, den letzten für heute. Die tief stehende Sonne wirft ein erstaunlich warmes Licht auf die nach Nordwesten ausgerichtete Wand. Wir wissen, dass dieses erfüllende Farbenspiel aber schon bald der kalten Dunkelheit weichen wird. Deshalb seilen wir ab. Titus hat schon am Vormittag drei ebene Flächen im geneigten, mit Schutt bedeckten Vorbau ausgegraben. Allzu großzügig war er nicht mit dem Platz, aber wir sind definitiv ungemütlichere Biwaks gewohnt.
Dafür ist das Wetter am nächsten Tag alles andere als gemütlich. Schwere, dunkle Wolken hängen am Himmel und ein kalter Wind lässt einzelne schwerelose Schneeflocken in der Luft tanzen. Unsere Körper sind hingegen schwerfällig, am liebsten würden wir unsere Bewegungen darauf beschränken, den Wärmekragen des Schlafsackes fester zuzuziehen. Für mich gilt das sogar, weil Titus und Martin heute weitermachen sollten. Doch als die beiden sich frierend in der abweisenden Wand abmühen, empfinde ich schlechtes Gewissen und beginne eine neue Biwakstelle zu bauen, wo wir alle drei nebeneinander Platz haben würden. Das einfache Abtragen von Geröll reicht dazu nicht aus, somit baue ich auf der unteren Seite eine Mauer aus großen Blöcken. Irgendwann vergesse ich, warum wir eigentlich hier sind, bis ich Titus’ freudigen Ruf vernehme. Er hat in zwei Stunden zwar nur zwei neue Meter geschafft, jedoch eine solide Sanduhr gefunden. Eigentlich ist es schon eine Leistung, bei dieser beißenden Kälte überhaupt zu klettern. Dank der guten Sicherung scheint nun der Weg nach oben offen. Doch die herben Bedingungen und vor allem das nahende Konzert von Giorgio Moroder drängen uns zum Abbruch, der uns aufgrund der eben genannten zwei Gründe viel leichter fällt als sonst.
Der helle Schein unserer Stirnlampen im Biwak am Wandfuß ist nicht unbemerkt geblieben. Vorbildlich hatte Martin die Landesnotrufzentrale darauf hingewiesen, dass wir geplant biwakierten und keine Hilfe benötigten. Über Umwege muss auch der Besitzer des Rucksackes über unseren Ausflug erfahren haben, denn wenige Tage später befindet er sich in der gleichen Wand. Wir wissen nicht, ob seine Pläne sowieso schon feststanden; andererseits ist es kein Geheimnis, dass diese Wandflucht in den nahezu vollständig erforschten Dolomiten zu den begehrteren Zielen gehört. Noch in diesem Jahr 2016 wird am Heiligkreuzkofel die Route “Stigmata” von Simon Gietl und Andrea Oberbacher geboren. Sie waren definitiv schneller und konsequenter als wir und haben sich wahrscheinlich nicht durch solch profane Dinge wie ein Konzert vom Klettern ablenken lassen. Die Linie von “Stigmata” beginnt weiter links, bewegt sich dann aber nach rechts, um die von uns angepeilte Linie zu schneiden und den Gipfel mit einem äußerst schwierigen Finale zu erreichen. Natürlich sind wir enttäuscht und legen unser eigenes Projekt aufgrund des abgeschnittenen Weiterwegs zunächst beiseite.
Sommer 2020: Weil unsere freie Zeit durch die unaufhaltsamen Wendungen des Lebens weniger geworden ist, legen Martin, Titus und ich schon einen Monat im Voraus ein Wochenende fest, an dem wir wieder ein Abenteuer erleben wollen. Mehrere Ideen schwirren uns durch den Kopf. Manche davon würden am knappen Zeitfenster, andere wohl an der fehlenden athletischen Vorbereitung scheitern. Wir kramen auch die Wandbilder des “Ciaval” hervor und erkennen freudig, dass die Wand breit genug ist, um unsere begonnene Route links von “Stigmata” auf unberührtem Felsen bis zum Gipfel zu klettern. Also hoffen wir nur noch auf gutes Wetter.
Am 05. September sind wir nach 4 Jahren wieder unter der Wand, die uns noch genauso fesselt wie damals. Die Biwakebene, für deren Benutzung sich Simon und Andrea herzlich bei uns bedankt haben, ist noch intakt. Das nehme ich zum Anlass, über meine hervorragende Maurerarbeit zu schwärmen. Schade bloß, dass wir auch diesmal nicht darauf schlafen werden.
Martin hat die erste Seillänge brüchiger und halsbrecherischer in Erinnerung als er sie diesmal empfindet. In der zweiten Seillänge ergeht es mir ähnlich: Ich habe sie schwieriger eingeschätzt. Aber es spielt anscheinend doch eine Rolle, wenn man neben dem Klettern auch den Hammer schwingt. Titus erreicht den Umkehrpunkt und ist von der Sanduhr nicht mehr ganz so überzeugt. Einmal mehr wird uns bewusst, wie sehr unser Erleben von Erwartungen geprägt ist.
Schon öfters hat Titus gesagt, dass er gerne einmal während einer Erstbegehung stürzen würde, sofern es die Wand zulässt. In dieser steilen Wand hätte er endlich die Möglichkeit dazu. Titus quert zunächst mit etwas Seilzug nach links und klettert dann weit nach oben, ohne Zwischensicherung. Wieder überwiegt seine Sturzangst gepaart mit Können und er schafft auf Anhieb einige wirklich schwierige Züge, die Martin und mich auch im Nachstieg eindeutig herausfordern. Titus erreicht den Stand unserer Vorgänger, zur Sicherheit schlägt er noch einen guten Haken. Wir kreuzen nun “Stigmata” und klettern links weiter, über schöne Platten und einen perfekten Riss. Die Schwierigkeiten halten sich in Grenzen. Am Nachmittag erreichen wir den oberen Steilaufschwung, die Felsfarbe wechselt wieder von dunkelgrau zu blassem Gelb. Eine Verschneidung weist den Weg. Davor müssen ein kleines Dach und eine sehr brüchige Schuppe überwunden werden. Titus zögert nicht allzu lang. Den hohlen und furchteinflößenden Klang der Schuppe versuchen wir mit aufmunternden Zurufen zu übertönen. Drei sehr solide Standhaken bringen unsere Zuversicht zurück. Martin robbt über die glatte Verschneidung nach oben. Ein letzter brüchiger Überhang wird mit zwei langen Haken verziert und anschließend frei überwunden. Zunächst treten die zwei Haulbags und der Rucksack den Weg nach oben an, Titus und ich folgen und haben erstere bald überholt. Wir sind am Gipfel, bevor die Sonne den Horizont im Westen erreicht, an dem eine durchziehende Kaltfront ein eindrucksvolles Schauspiel aufführt.
Wir sind zu euphorisch, um schon abzusteigen und der Gedanke, Schlafsäcke und Isomatten umsonst hochgehievt zu haben, widerstrebt uns. Daher verbringen wir die Nacht am Gipfel, zelebrieren die wunderschöne neue Route mit delikatem Couscous und Käse und ärgern uns am nächsten Tag, dass die Kaltfront und die damit einhergehende Feuchtigkeit nun näher gerückt sind. In Wahrheit fallen bloß ein paar Äußerungen, die man in solchen Fällen unbewusst und aus Gewohnheit loswird, aber die Zufriedenheit lässt uns darüber schweben. Bereits am Gipfel hat Martin den Namen “Xylophon” vorgeschlagen, weil der erste Buchstabe den Verlauf unserer und Gietls Route beschreibt und er klanglich zu den anderen wilden Routen am Heiligkreuzkofel passt.
Erstbegehung von Martin Dejori, Titus Prinoth und Alex Walpoth am 11-12.08.2016 und 05.09.2020
Schwierigkeit: VIII+ A0 (frei vermutlich IX)
Länge: 240 Meter, 7 Seillängen
Weniger ist mehr: Philipp Flamm - Civetta
Von Aaron Moroder
Im August 2019 wiederholten Thomas Mair aus Nordtirol und ich diese berühmte Verschneidung mitten durch "Die Wand der Wände". Für uns ein erfüllendes Abenteuer: Eine großartige Route, toller Fels und das in dieser immensen Wand. Im Nachhinein stellt man sich die Frage welche Zutaten es braucht um einen Tag in den Bergen einmalig zu machen und welche Routen uns wirklich lange in Erinnerung bleiben. Deshalb habe ich unser Erlebnis und die Gedanken, die ich mir während des Kletterns gemacht habe, kurz zusammengefasst.
Bereits beim Hüttenzustieg durchnässte uns ein Gewitter bis auf die Knochen. Zum Glück übernachteten wir in der besten Schutzhütte der Alpen (Rifugio Tissi) und Walter trocken unsere Ausrüstung.
Auch die Wand wurde nicht weniger nass. Trotzdem stiegen wir am nächsten Morgen ein und erreichten zügig die steile Verschneidung im mittleren Teil. Hier werden einem die Dimensionen der Wand erst so richtig bewusst: Man klettert konzentrierter und redet weniger. Doch der gute Fels und die logische Linie brachten uns höher und höher.
Die Kaltfront vom Vortag blies noch einen kalten Nordwind durch die Wand und immer wieder blickten wir besorgt zu den triefenden Ausstiegskaminen hoch. Die kalte Dusche schien unausweichlich. Im letzten Teil der Route kann man zwischen tiefen Kaminen, steilen Pfeilern und einem engen Durchschlupf schnell den Überblick verlieren. Doch der Routenverlauf windet sich geschickt empor und man entwischt dem Griff dieser zyklopenhaften Felslandschaft.
Großen Respekt zollen wir den beiden Erstbegehern Walter Philipp und Dietrich Hasse. In drei Tagen gelang es ihnen diese Route mit nur 44 Normalhaken erstzubegehen. Die Route ist 36 Seillängen lang, daher gingen die meisten Haken bereits als Standhaken drauf. Philipp, er war bei der Erstbegehung erst 20 Jahre alt, war ein überzeugter Freikletterer und vielleicht der erste, der dem allgemeinen Trend des Diretissima-Zeitalters nicht folgte. Er erkannte sehr früh, dass ein Verzicht auf übermäßigen Materialeinsatz dem Kletterer viel mehr bringt und er war überzeugt, dass man große Dolomitenwände auch ohne Bohrhaken durchsteigen kann.
Dank dieses Pioniergeistes konnten auch wir, über 60 Jahre nach der Erstbegehung, diese grandiose Wand durchsteigen, ohne einer reinen Hakenleiter zu folgen und etwas vom Abenteuer der Erstbegeher selbst erleben. Mit Sicherheit werden wir diesen Tag nie vergessen und uns immer gerne an dieses Erlebnis zurück erinnern.
Bei einer Erstbegehung geht es nicht darum eine bestimmte Ethik zu respektieren, sondern den Berg!
Ein Felsgrat seltener Eleganz - Erstbegehung am Plattkofel
Ende August gelang Aaron, Alex und Martin in zwei Tagen eine sehr schöne Überschreitung am Plattkofel
Die verwinkelte Welt aus bizarren Felszacken und steilen Wandfluchten der Langkofelgruppe bot schon zahlreichen Kletterern Platz für Abenteuer. 150 Jahre sind
vergangen seit Paul Grohmann als Erster, zusammen mit Peter Salcher und Franz Innerkofler, auf dem Gipfel des Langkofels stand. Seither wurden alle wichtigen Erhebungen des Massivs bestiegen und
etliche Touren in verschiedenen Schwierigkeitsgraden eröffnet. Große Alpinisten wie Emilio Comici oder Gino Soldà, haben in den imposanten Nordwänden oberhalb des Grödnertales ihre Spuren
hinterlassen. Im Fokus der Kletterer stand meist der mächtige Langkofel mit seinen langen und anspruchsvollen Anstiegen. Der flache Nachbar blieb wegen der einfachen Erreichbarkeit über den
Normalweg immer im Schatten der umliegenden Gipfel. Erst spät im 20. Jahrhundert wurden die steil über den Cunfinböden emporragenden Spitzen des Plattkofels von Alpinisten in Angriff genommen.
Die zwei größten Türme rechts der Plattkofelrinne mussten bis in die Achtziger auf eine Besteigung warten. Sie tragen heute den Namen zweier erstklassiger Bergsteiger: Torre Vinatzer und Torre
Castiglioni. Schaut man von der Seiser Alm zu den beiden Türmen auf, erkennt man, dass sie Teil eines majestätischen Felsgrates sind, welcher sich bis zur Westflanke des Plattkofels erstreckt.
Nahezu fragil erscheinen einige der insgesamt sechs Türme.
Im Winter blickte ich während entspannter Schneeschuhwanderungen mit Gästen immer wieder zu den spektakulär aneinandergereihten Felsspitzen hoch. Irgendwie ließ mich der Gedanke nicht los, eines
Tages auf ihnen zu stehen. Ende des Sommers soll es endlich so weit sein. Ein Jahr war seit der Reise in die Türkei vergangen, wo ich zusammen mit meinen Freunden Alex und Aaron eine sehr schöne
Route eröffnen konnte. Da sich dieses Jahr zeitlich leider keine längere Reise ausging, entschlossen wir zu Hause ein gemeinsames Abenteuer in Angriff zu nehmen. Wir fassten den Felsgrat am
Plattkofel ins Auge und beschlossen zugleich eine neue Linie am Torre Castiglioni zu versuchen. Zwei Tage planten wir für unsere Unternehmung ein.
Bei bestem Wetter steigen Aaron, Alex und ich motiviert die Plattkofelrinne empor. Die Luft ist klar und sauber, das Ambiente wild und die steilen Wände um uns wirken fast einschüchternd. Wir
fühlen uns trotzdem wohl. Schon oft haben wir dieses Gefühl verspürt, welches wir mit absoluter Freiheit verbinden. Die ersten Seillängen sind ein Vorgeschmack auf die wunderbare Kletterei, die
folgen wird. Der Fels entpuppt sich als außerordentlich fest und lässt sich relativ gut absichern. Bald stehen wir unterhalb der steilen Wandpartie im Mittelteil des vierhundert Meter hohen
Pfeilers. Über eine gelbe, überhängende Seillänge eröffnet Aaron den Weg nach oben. Nach längerem Suchen schafft er es einen Stand zu bauen. Der Fels ist hier teilweise sehr hakenfeindlich
kompakt und man braucht einiges an Spürsinn, um geeignete Felsritzen für Haken zu finden. Alex beschreibt die darauffolgende Seillänge als eine der schönsten, die er jemals geklettert ist. Kein
Wunder: Der gelb-graue Fels ist von bester Qualität und lässt sich nur mit mobilen Sicherungen absichern. Ein wahres Geschenk der Natur. Über steile Platten und Risse erreichen wir am späten
Nachmittag den Gipfel des Torre Castiglioni. Unsere Blicke wandern zu den fünf Zacken, die noch folgen.
Nach einer kurzen Abseilstelle stehen wir in der Scharte zwischen Torre Castiglioni und Torre Vinatzer. Es steckt ein Haken direkt am Sattel. Wahrscheinlich seilt man sich von dort in eine
Schlucht Richtung Plattkofelrinne ab. Der Abstieg schaut nicht gerade einladend aus und deshalb freuen wir uns drauf weiterzuklettern. Nach drei einfachen Seillängen stehen wir bei
Sonnenuntergang am zweiten Gipfel unserer Überschreitung. Ein langer Abseiler bringt uns zur Stelle wo wir die Nacht verbringen werden. Unseren Haulbag, den wir bei dieser Begehung mit le
saaac ansprechen, ist befüllt mit warmen Schlafsäcken und Essen. Eine gute halbe Stunde vergeht, bis wir das Biwakplätzchen für uns drei fertiggestellt haben. Mit erdigen und vom
Hakenschlagen aufgeschürften Händen bereiten wir unser Abendessen vor. Couscous mit Käse und Thunfisch, ein wahrer Genuss. Unter dem Sternenhimmel und mit der Wand vor Augen, die am folgenden Tag
ansteht, schlafen wir ein. Man wacht hin und wieder auf, spürt eine kalte Brise im Gesicht, schaut in die endlosen Weiten des Universums und schläft dann glücklich wieder ein.
Am Morgen macht sich Alex bereit den dritten Gipfel des Grates in Angriff zu nehmen. Der Fels ist immer noch von guter Qualität und die Kletterei weniger anspruchsvoll als am Tag zuvor. Wir
kommen zügig voran und stehen schon bald am Standplatz unterhalb des Gipfels. Am höchsten Punkt angelangt rätseln wir, ob wirklich noch niemand vor uns an dieser Stelle stand. Wir werden es nie
mit Sicherheit wissen, aber gehen stark davon aus, da es keine Spuren von vorherigen Begehungen gibt. Für uns drei ist es das erste Mal, dass wir auf einem unbestiegenen Gipfel stehen. Schon ein
besonderes Gefühl, auch wenn es nur eine unbedeutende Erhebung in dieser schroffen, labyrinthischen Umgebung ist.
Die letzten drei Zacken sind sehr steil und über keine Seite leicht zu erreichen. Wir verspüren eine Ausgesetztheit die wir in den Dolomiten selten zuvor erlebt haben. Auf beiden Seiten geht es
einige hundert Meter steil nach unten und man möchte keinen Rückzieher über eine der tiefen Schluchten antreten müssen. Über eines sind wir uns einig: Der leichteste und auch schönste Weg führt
zum Gipfel des Plattkofel. Deshalb verlieren wir keine Zeit und richten die nächste Abseilstelle ein. Abseilen wechselt sich mit Klettern ab und bald stehen wir auf dem letzten der sechs Zacken.
Wir blicken zurück zum frisch getauften Ciampanil dl Malan und sind überwältigt von der Schönheit und Ausgesetztheit des eben gekletterten Felsgrates. Die letzte Wand zum Gipfelplateau stellt
keine Schwierigkeiten mehr dar und eingebettet im Nebel genießen wir die mystische Atmosphäre.
Zum Glück gibt es sie noch: Die wilden Ecken im Reich unserer wunderbaren Hausberge.
Martin Dejori
Der Blinde Fleck
Die Diktatur der Uhr - Neue Route am Meisules dala Biesces
Unser Auge ist nicht nur von ästhetischer Schönheit, auch seine Funktion ist hochkomplex und faszinierend. Doch so beeindruckend die physiologischen Vorgänge auch sein mögen ist auch unser Auge nicht fehlerfrei und hat so seine Schwächen. Es gibt auf der Retina einen Bereich, an dem wir komplett blind sind. Triff Licht auf diesen Punkt können wir diesen nicht registrieren, schlimmer noch wir bemerken gar nicht dass wir ihn nicht bemerken. Unser Gehirn trickst uns aus indem uns nur die optischen Reize des anderen Auges bewusst werden oder uns sogar falsche Bilder zeigt. Man nennt diesen Bereich der Retina Blinden Fleck. So ähnlich erging es mir mit dem Wandbereich am Mëisules dala Biesces zwischen den Routen Franz, Dolomieu, Diamante und Via Pepe, L Nein usw. Zugegeben dieser Wandbereich geht zwischen den allzu kompakten Platten links und rechts etwas unter, aber trotzdem blickte man oft zu ihm hoch, sah ihn aber nicht.
Matteo ließ sich aber nicht täuschen und als er mir ein Foto von der Wand schickte, fiel es mir wie Schuppen von den Augen und wir waren gleich motiviert loszulegen.
Ein erster Versuch musste nach zwei Seillängen wegen eines Gewitters abgebrochen werden, doch beim zweiten Gelang es uns bis zum Gipfel durchzusteigen.
Parole Sante
Eine Erstbegehung in der Langkofel-Nordwand
Der Langkofel war der erste Berg den ich in meinem Leben gesehen habe. Diese elegante Dolomitenformation ist von den meisten Fenstern meines Hauses in St. Ulrich gut zu sehen und schon als Kind schaute ich immer sehnsuchtsvoll zu dessen Gipfel und in die immense Nordwand hinauf.
Im Laufe der Jahre habe ich unzählige andere Berge gesehen, viele davon waren größer, höher oder schwieriger, doch irgendwie habe ich sie immer mit dem Langkofel verglichen, als Eichmaß sozusagen. Der eigene Hausberg ist sicherlich für jeden Alpinisten etwas Besonderes: man lernt ihn zu unterschiedlichen Jahreszeit kennen und man kehrt im Laufe der Jahre oft zu ihm zurück und kann so die eigene Entwicklung feststellen.
Obwohl es auf dem Langkofel bereits viele Routen gibt war es mein lang ersehnter Wunsch eine Erstbegehung durch die Nordwand zu machen. Gleich links der markanten gelben Nase zog noch keine Route hoch. Die schwarzen steilen Platten schienen äußerst kompakt zu sein und weiter oben gibt es ein feines Risssystem durch die gelben Überhänge. Sicherlich kein leichtes Unterfangen, doch mit einer starken Seilschaft sollte man einen Versuch wagen können.
Ich konnte meine Freunde Titus Prinoth und Matteo Vinatzer vom Projekt überzeugen und am 15. August 2018 ging es los. Wie planten am ersten Tag bis zu den gelben Überhängen zu gelangen und am nächsten Tag mindestens bis zur Pichelkanzel.
Bei Sonnenaufgang standen wir unterm Wandfuß doch bereits in den ersten Seillängen ging es ordentlich zu Sache. Der schwarze Fels war trügerisch brüchig und verlangte große Vorsicht. Jede Seillänge war ein großer zeitlicher und auch psychischer Aufwand. Als sich der Abend anbahnte und die Sonne bereits tief stand erreichten wir eine große Nische, im gelben Wandbereich. Eigentlich ein perfekter Platz zum Biwakieren. Wir hatten zwar alles zusammen gekratzt was wir an Felshaken noch zu Hause hatten, doch das Sortiment waren nicht sehr umfangreich und nun hatten wir nicht mehr viele übrig. Die gekletterten Seillängen hatten uns gefordert und wir sahen mit den verbliebenen Haken nur wenig Chance die Überhänge über uns am nächsten Tag zu bewältigen und seilten uns zum Wandfuß ab.
14.07.2019
Leider konnte Matteo dieses Mal nicht dabei sein, doch Titus und ich hatten einen freien Tag und wir wollten diesen unbedingt nutzen um an unserem Projekt weiterzumachen. Wir stiegen über die benachbarte Via Sisyphos schnell in den Morgenstunden bis zur Nische hoch. Von dort nahm Titus den Quergang in Angriff der uns mitten in die gelben Überhänge führen sollte. Gleich nach dem Stand gelang es ihm einen gut 15 cm langen Haken zu schlagen, der sich als Schlüssel für diese heikle Querung erwies. Nach einigen weiteren heiklen Kletterzügen, in brüchigem Fels, erreichte Titus eine kleine Nische und konnte einen Stand einrichten.
Nun lag es an mir die nächste Seillänge vorzusteigen. Ein markanter Riss, den wir bereits von unten inspiziert hatten, wies klar die Richtung vor. Stück für Stück arbeitet ich mich daran nach oben, konnte aber immer wieder solide Friends unterbringen. Die Linie war hier unglaublich logisch, durch den Riss klar von der Natur vorgegeben. Es gibt keine Regeln oder Vorschriften wie ich die Seillänge überwinden musste. Nur meine eigene Überzeugung zwang mich den Materialaufwand so gering wie möglich zu halten, keine Spit zu verwenden (wir hatten sowieso keine mit), Friends zu legen und wenn das nicht möglich war Haken zu schlagen. Für jede Passage musste man sich etwas einfallen lassen, teilweise technisch, teilweise freikletternd. Ich dachte auch nicht daran wie eventuelle Wiederholer diese Seillänge klettern können. Diese müssen ebenfalls wieder, diesen von der Natur vorgegebenen Riss überwinden und nicht einer von Vorgängern eingerichteten Hakenleiter folgen. Wir wollen sie doch nicht ihrer Abenteuer berauben.
Mit nur mehr einem einzigen Mircrofriend am Gurt erreichte ich die Stelle, unter einem Dach, wo ich den Stand einrichten wollte. Der Fels war hier erstaunlich gut und ich konnte zwei bombenfeste Haken platzieren. Nun musste Titus noch das Dach überwinden. Er nutze einen Riss um einige Friends zu legen und so die letzte schwierige Seillänge zu überwinden. Über eine herrliche schwarze Platte mit vielen Löchern kletterte er bis zur Kante hoch wo leichteres Gelände auf uns wartete.
Wir kletterten in Richtung Pichel-Kanzel wobei wir die letzte Seillänge über die Route Sisyphos kletterten. Über die klassische Pichelführe kletterten wir weiter bis zum Gipfel des Langkofel.
Die Sonne stand bereits tief und färbte die umliegenden Berge und Wolken in wundervolle Farben. Wir verweilten ein wenig am Gipfel, blickten auf die Kulisse um uns herum und ins heimatliche Tal hinunter. Wir werden noch oft auf diesen Berg blicken und hoffentlich noch oft auf seinem Gipfel stehen und jedes Mal können wir an die Tage zurück denken die wir mit Eifer in der Nordwand verbracht haben, um diese neue Route erstzubegehen.
Der Abstieg ist lang, doch wir kennen ihn gut und so erreichten wir noch vor Einbruch der Dunkelheit die Toni Demetz Hütte. Obwohl alle Gäste bereits zu Bett gegangen sind empfing uns Christian noch mit einem hefigen Erfrischungsgetränk und wir erzählten begeistert von unserer neuen Route.
Aaron Moroder
Erzählung einer Neutour vom Sommer 2018
von Alex Walpoth
L scibl -Parëi de Bredles
Erstbegeher: Titus Prinoth und Alex Walpoth
Schwierigkeit: VIII A0, bis A3/A4
Länge: 260 Meter
Es gibt Orte, die üben eine ganz besondere Anziehungskraft auf uns aus; sei es durch ihre landschaftliche Schönheit oder durch die Erinnerungen, die daran geknüpft sind. Für Titus und mich ist der Wandfuß der Villnösser Rotwand so ein Ort. Unter den gewaltigen Überhängen ist es meistens ungemütlich kalt und feucht. Uns geht es um die Erinnerungen.
Im Winter 2014/2015 glückte uns die Wintertrilogie: Das Klettern der drei Routen „Franz Runggaldier“, „Rudi Runggaldier“ und „L Cator“ in der unangenehmsten Jahreszeit.
Später schufen wir zwei Erstbegehungen, „Ruhe, wo immer du bist“ und „Via tl Vënt“. Somit hatten wir mehr als zwanzig Tage in der Wand verbracht und unzählige Male die beeindruckenden, gar furchteinflößenden Überhänge zwischen „Franz“ und „Rudi Runggaldier“ studiert.
Die ersten Meter schienen unüberwindbar: mehrere Dächer, einige durch die ständige Nässe schwärzlich verfärbt, folgten aufeinander. Mittels haariger technischer Kletterei könnte es ganz vielleicht gehen.
Zwei Jahre vor unserem ersten Versuch hatten wir bereits einen Profilhaken von unten nach oben zwischen Wand und einer labilen Schuppe geschlagen. Das rostende Eisen erinnerte uns jedes Mal, dass wir noch ein offenes Projekt hatten; dass wir uns noch einen Wunsch erfüllen wollten. Wir träumten von dieser Route, doch fehlte uns der Mut, wirklich einzusteigen. Zu glatt, brüchig, schwierig sah die Wand aus.
Mitte August (2017) wird Titus nach Schweden fliegen, um die Ausbildung zum Helikopter-Piloten zu beginnen. Uns ist bewusst, dass wir längere Zeit nicht mehr miteinander klettern werden. Wir planen die letzte gemeinsame Route vor der Abreise. Natürlich wäre es schön, wenn sie uns besonders viele Erinnerungen schenkt. Viele schwierige Routen schwirren uns durch den Kopf. Dann tauchen der vor sich hin rostende Haken und die Bilder der abschreckenden Villnösser Rotwand auf. Nun ist alles ganz klar: Wann ist das Klettern intensiver als während einer Erstbegehung? Wo teilt man miteinander ein größeres Abenteuer als in einer unbekannten, überhängenden Wand?
Das Material wird auf einer großen Felsplatte am Einstieg ausgebreitet: Haken jeglichen Typs, Trittleitern, eine dreifache Serie an Friends. Etwas abseits liegen der Handbohrer und wenige Bohrhaken. Diese werden wir höchstens für die Stände benutzen. Wir haben uns diese klare Regel gesetzt, die im Grunde aber ein Kompromiss ist: Einer zwischen Abenteuer und Sicherheit, ein höchst individueller Kompromiss. Jeder muss mit sich und seinem Kletterpartner selbst ausmachen, wie weit er in seinem Verzicht gehen will. Die Erstbegehungen der anderen sollte man wiederum respektieren und in ihrem ursprünglichen Zustand belassen.
Mehr als alpinethische Überlegungen zählen jetzt Kletterkönnen und Entschlossenheit. Zwei weitere Haken, beide sehr vorsichtig mit meinem Körpergewicht geprüft, und einige Züge in freier Kletterei bringen mich unter das erste Dach. Mit an Friends eingehängten Trittleitern komme ich weiter. Ich schlage zwei äußerst kurze Haken. Diese fördern eher meine Moral als die recht dürftige Sicherungskette. Nach vier Stunden harter Arbeit sehe ich keine Griffe und keine Felsritzen mehr. Der Boden ist immer noch gefährlich nahe. Ständig geht mir die Frage durch den Kopf, ob die Zwischensicherungen einen Sturz halten würden. Erschöpft seile ich mich zu Titus ab.
Der brennt darauf, endlich den Hammer zu schwingen. Vorsichtig steigt er am fixierten Seil hoch. Dass das Seil an einem sehr unzuverlässigen Haken hängt, habe ich vergessen mitzuteilen. Vielleicht auch ganz bewusst verschwiegen. Mit dem zweiten Halbteil ist Titus rückgesichert.
An meinem Umkehrpunkt angelangt macht sich Titus sofort an die Arbeit. Mit seinen frischen Augen und der unverbrauchten Vorstellungskraft sieht er neue Möglichkeiten. An einem Mikro-Klemmkeil hängt er die Trittleiter ein. Der Fels ist sehr abschüssig, die wenigen Griffe sind alle nach unten gerichtet. Der Cliffhanger kratzt an der Felsoberfläche, findet aber keinen Halt. „Ich versuchs frei“, ruft mir Titus zu. Von meiner Position aus sehe ich nicht allzu viel. Titus bewegt sich nach oben, dann belastet er den Cliff. Plötzlich saust eine kopfgroße Schuppe hinab. „Daran habe ich mich eben noch festgehalten“, meint Titus lakonisch. Zum Glück hat er rechtzeitig den Cliff gesetzt. Ich bin erstaunt über seine Gleichmütigkeit. Auf den folgenden Metern braucht aber auch Titus seine Nerven auf. Nach einer äußerst schwierigen Querung zwingt ihn die zunehmende Seilreibung Stand zu machen. Zwei Friends in einem glitschigen und unregelmäßigen Riss erfüllen sein Bedürfnis nach Sicherheit nur unzureichend. Titus setzt noch einen Bohrhaken in mühsamer Handarbeit. Endlich fällt die Anspannung ab.
Im Nachstieg kann ich die Seillänge etwas objektiver betrachten. Einmal mehr wird mir bewusst, wie stark Angst unsere Wahrnehmung einschränkt. Plötzlich erkenne ich neue Strukturen. Die nötigen Griffe, um die ganze Seillänge frei zu klettern, finde ich dennoch nicht. Außerdem legen die schlechten Zwischensicherung nahe, keinen Sturz zu riskieren. Der Gedanke ans Freiklettern verblasst. Das größte Abenteuer liegt sowieso über uns.
Titus fliegt nach Schweden. Ich klettere andere Routen. Ein Jahr später, im Sommer 2018, stehen wir wieder am Einstieg. Hier ist die Zeit stehen geblieben, so markant sind die Bilder des ersten Versuchs noch im Kopf. Nach dem Aufstieg am fixierten Seil legt Titus gleich los. Über eine griffige Schuppe klettert er zügig nach oben, bis eine nasse, schiefe Verschneidung seinen Rhythmus unterbricht. Wieder werden die Friends auf ihre Haltekraft getestet. Hammerschläge erklingen. Nun gilt es, eine schwierige Stelle frei zu überwinden. Der ständige Wechsel zwischen technischer und freier Kletterei ist mühsam und erfordert ein Umdenken im Kopf. Wenn dies nicht gelingt, ist die Schwerkraft besonders gnadenlos.
Titus ruft ungläubig, dass er sich auf einem breiten Band befindet. Er schlägt drei Haken und hat Stand. Die nächste Seillänge beginnt weniger steil. Ich schleiche über eine senkrechte Platte hinauf, versuche nur die festen Griffe zu belasten und freue mich über die schöne Kletterei. Die Absicherung gestaltet sich immer noch als schwierig, aber nun könnte ich auch ohne Verletzungsgefahr stürzen. Weiter oben schlage ich drei bescheidene Haken. Dazwischen klettere ich alles frei. Um einen Stand zu bauen sehe ich keine andere Möglichkeit, als einen weiteren Bohrhaken zu setzen. Es wird der letzte bleiben. Ich benötige eine halbe Stunde, um das Loch zu meißeln. Danach sind meine Arme entkräftet. Titus hat sich bereits beim Schlagen der Normalhaken verausgabt und daher seilen wir ab. Wieder sind viele Stunden vergangen.
Der Aufstieg am Seil ist nun mit haarsträubenden Pendeln verbunden. Wir kommen erwartungsvoll am dritten Stand an. Titus überwindet die bisher eindrucksvollste Seillänge. Zwei Sanduhren geben ihm genug Sicherheit, um ohne einen einzigen Haken auszukommen. An den wenigen Zwischensicherungen rastet er um sich dann weit in die unbekannte Felslandschaft vorzuwagen. Einige Züge klettert er am Limit, das merke ich an seinem unregelmäßigen Atem. Irgendwann vergisst er gänzlich Friends zu legen. Abgesehen davon, dass er sicher ins Leere fallen würde, scheint er doch vollkommen in den Bewegungen und dem daraus entstehenden Fluss zu versinken.
Als ich nach dieser wunderbaren und anspruchsvollen Seillänge bei Titus im Stand ankomme, wirkt er ziemlich aufgelöst und gleichzeitig leicht übermütig. Gemeinsam verstärken wir den Stand, wiederum auf einem gemütlichen Absatz, mit einem weiteren Haken. Wir befinden uns nun unter den größten Überhängen. Wir wissen, dass es bis zum Gipfel nicht mehr weit ist. Doch der direkte Weg nach oben scheint unmöglich.
Etwas links vom Stand beginnt eine Verschneidung und endet zehn Meter weiter oben an einer Kante. Wir sehen nicht, was danach kommt, werden es aber wohl auf diesem Weg versuchen müssen. In der Verschneidung komme ich gut voran und Euphorie ergreift mich, weil die Felsqualität nun perfekt ist. Auf den Cliffhanger verzichte ich nun, das Erleben verdichtet sich und die Emotionen im nächsten Standplatz sind stärker. Es ist eine einfache Gleichung im Leben: Je mehr Bemühung wir hineinstecken, desto mehr kommt zurück, meistens in Form von Zufriedenheit. Beim Klettern erreichen wir große Genugtuung indem wir den Verzicht einsetzen.
Ein Gewitter zieht heran. In der weit überhängenden Wand sind wir zwar vor Wettereinflüssen geschützt, aber es ist schon wieder spät und die Energie verbraucht. Ins Leere abzuseilen, zwischen der gelben Wand und den Regenfällen weit draußen, ist sehr abenteuerlich und erfordert Aufmerksamkeit. Die fällt aber immer wieder auf die Seillängen, die wir bereits geklettert sind und jene, die auf dem Weg zum Gipfel noch fehlen. Letztere entsenden einen größeren Reiz. Wir sind jedoch auch überzeugt, dass wir das nächste Mal aussteigen werden, somit schrumpft gleichzeitig das Abenteuer.
Am 17. August 2018 steigen wir zum nunmehr vierten Mal in die Wand ein. Besser noch ziehen wir uns in großem Abstand zur Wand an den Fixseilen hoch. Vom letzten Stand könnten wir wahrscheinlich links hinausqueren, doch die Ästhetik der Linie hat Vorrang. Daher streben wir einen spektakulären Riss weiter rechts an. Titus klettert los. Wenige Meter nach dem Stand benötigt er eine halbe Stunde um einen Haken zu schlagen. Die Zeit, die man zum Schlagen eines Hakens aufbringen muss, hängt nicht unbedingt mit der Haltekraft desselben zusammen. Trotzdem ist Titus überzeugt, dass sein Haken jeder Belastung standhält und das ist das Wichtigste. Denn nur so wagt er sich weiter in unberührte Wandwinkel hinein. Ein schwieriger Boulder bringt Titus zunächst ans Limit und dann zum ersehnten Riss, wo er nun maximale Exposition genießt. Dieser Riss beglückt uns noch mit einer fantastischen Kletterei.
Die letzten Klettermeter klettern wir betont langsam und die letzten zwei Standhaken bringen wir mit zögerlichen Hammerschlägen an. Wir wollen uns jeden Augenblickes bewusst sein. Wir wollen nicht, dass das Abenteuer nun endet und gleichzeitig wissen wir, dass dies schon geschehen ist. Die anfängliche Ernüchterung weicht bald überschwänglicher Freude. Wir sind einfach glücklich, uns dieser Linie voller Fragezeichen hingegeben zu haben und nun an deren Ende zu stehen, ganz oben. Da, wo der Blick nach unten und zurück genauso spannend ist wie jener nach vorne.
April 2019 - Skihochtouren im Dauphiné Gebiet, Frankreich
von Daniel Demetz
Mit dem Wissen, dass man zu Ostern zwei Wochen frei hat, im Alpinismus aber komplett vom Wetter abhängig ist, standen wir dieses Jahr am Tag vor den Ferien zwar mit viel Motivation, aber noch ohne Plan da. Nach einer interessanten Skitour auf dem Sellastock und einem anschließenden Umtrunk trafen wir uns, ausgerüstet mit Laptop und Karten bei Aaron Zuhause, um etwas Konkretes zusammenzustellen. Das wurde es auch, denn schon am nächsten Morgen saßen Aaron, Martin und ich in einem vollgepackten Cross-Polo mit dem Ziel Dauphiné in Frankreich. Dieses Gebiet, das in den französischen Westalpen liegt, ist vor allem wegen seiner wilden und steilen Umgebung bekannt und wird deshalb oft auch als Karakorum der Alpen bezeichnet. Diese Bezeichnung konnten wir nur bestätigen, denn schon während der Fahrt zu unserer Destination Villar-d'Arêne sahen wir den imposanten Gipfel des La Meije vor uns. Nachdem wir dort geparkt und unseren Rucksäcken den letzten Feinschliff gegeben hatten, starteten wir zu Fuß und dann weiter mit den Tourenski zum Refuge de l'Alpe de Villar-d'Arêne. Doch schon auf dem Weg dahin gab es den ersten Schreckmoment, denn mit einem lauten Aufschrei (den ich hier nicht näher zitieren will) machte Martin uns darauf aufmerksam, dass er seine Kopfhörer im Auto vergessen hatte. Nach diesen anfänglichen Schwierigkeiten erreichten wir den Refuge auf ca 2000m, wo uns ein leckeres Abendessen und eine Diskussion über Couscous erwartete. Doch es dauerte nicht lange und schon lagen wir im Matratzenlager und schliefen, voll motiviert für den nächsten Tag.
1.Tag: Refuge de l'Alpe de Villar-d'Arêne - Pic de Neige Cordier - Refuge de Écrins
Am nächsten Tag ging es dann in Richtung des noch von der Dunkelheit der sternenklaren Nacht umhüllten Glacier des Agneaux. Wir drehten aber vor dem Gletscher in Richtung Südwesten ab, denn unser Ziel war der Gipfel des Pic de Neige Cordier. Diesen erreichten wir dann über eine Schulter und von Norden kommend über einem Grat. Da das Wetter mitspielte und die Aussicht großartig war, nahmen wir uns viel Zeit um das Gebiet um uns herum genauer zu betrachten. Anschließend ging es am Grat entlang weiter den Südwestgrat hinunter auf den Col Emile Pic (3483 m), wo wir nach einem Abseiler mit den Ski zum Refuge Écrins abfuhren.
Die Wildheit des Dauphiné bekamen wir dann auch so langsam dadurch zu spüren, da es im ganzen Gebiet so gut wie kein Handynetz gibt, dass es in keiner dieser Hütten Steckdosen gibt und von den "Toiletten" gar nicht zu reden. Doch schon bald stellte unser Körper und auch unsere Denkweise sich auf diesen natürlichen Rythmus ein, fern von der gestressten und Alles und Allem nachrennenden Welt ein. Und mit diesen Gedanken schliefen wir ein...
2.Tag: Refuge de Écrins - Barre de Écrins - Refuge du Châtelleret
Nach anfänglichen Schwierigkeiten aus dem Bett zu kommen, starteten wir wiederum in der Dunkelheit in Richtung des imposanten Gipfel des Barre de Écrins, dem südlichsten 4000er der Alpen. Doch das Schauspiel der aufgehenden Sonne ließ uns die anfängliche Müdigkeit im Nu verfliegen und col Testo ai Pazzi erreichten wir mit unseren Tourenski den Bréche Lory (3974m). Mit Steigeisen und Pickel kletterten wir über felsiges Gelände den langen Gipfelgrat bis hinauf auf den Gipfel des Barre de Écrins (4102m). Die Aussicht die wir dort hatten lass ich durch die folgenden Bildern erklären, auch wenn diese nie die dortigen Gefühle und Eindrücke widergeben können. Anschließend machten wir uns auf dem Rückweg, wobei wir noch kurz einen Abstecher auf den Dôme de Neige (4015m) machten. Auf Skiern gings dann den Glacier Blanc bis auf den Col des Écrins hinab. Von dort stiegen wir durch einen Couloir über Fels und Schnee mit ein paar Fixseilen und anschließend mit Skiern über wunderschöne Firnhänge hinab in Richtung des Dorfes La Bérarde. Vor dem Erreichen des Dorfes fellten wir wieder auf und nach einem Sonnenbad ging es nochmals hinauf, diesmal in Richtung unserer letzen Hütte, dem Refuge du Châtelleret.
3.Tag: Refuge du Châtelleret - Col de la Casse Déserte - Grande Ruine - a cësa 🚗
Am letzten Tag waren wir immer noch motiviert und so entschieden wir uns noch für den Gipfel des Grande Ruine, bevor es zurück nach Hause ging. Deshalb ging es wieder früh mit einem Pilon leva! aus der Hütte und einer à la master gespurten Linie von Nordwesten hinauf auf den Col de la Casse Déserte (3.483 m), wo wir Zuschauer eines faszinierendem Nebelschauspieles wurden. Nachdem wir den Col de la Casse Déserte auf der Südoststseite abstiegen und mithilfe der Karte einen Kessel im Nebel durchquerten, stiegen wir über die Südostflanke bzw. Südgrat auf den Grande Ruine hinauf. Die lange Skiabfahrt bis zum geparkten Auto war dann so unterschiedlich wie die ganzen Tupperwaren in Mamas Schrank daheim, manche Stellen perfekter Firn, manche mit einer Schmelzharschschicht, dann wieder eisige Stellen, Bruchharsch, lange flache Stücke zum Schieben, Sulzschnee und der letzte Teil sogar gar kein Schnee. Doch genau diese Eindrücke würzten das Erlebte noch und wie es so ist war es eine Schweizer Bergführerin, die wir getroffen haben, die es mit einem Wort zusammenfasste: Hueregeil!
September 2018 - Erstbegehung "Spirit Bird" im Aladaglar, Türkei
Zwischen Chai und Kebab. Von Alex Walpoth
Nach manchen Erstbegehungen diskutierten wir lange über den Namen, sodass die Namenswahl die Schwierigkeit der härtesten Züge in der Wand übertraf. Doch zum Glück geht es auch anders.
Nach unserer neuen Route in der Türkei einigten wir uns sogar ohne Worte auf den Namen. In der Nacht, im Schein unserer Stirnlampen, hatten wir einen Pfeilerkopf erreicht, an dem die Route für uns zu Ende war. Wir befanden uns unter einem funkelnden, unerreichbaren Sternenhimmel. Die Lichter der Zivilisation schienen ebenso weit entfernt zu schwirren. Aus unserer Musikbox, die wir auch zu den abgelegensten Orten mitnehmen, erklang der Song „Spirit Bird“ von Xavier Rudd: Der Beginn ein melodisches Zupfen einer akustischen Gitarre, dann eine sanfte, fast schüchterne Stimme, bis allmählich eine Lawine aus Klängen und Emotionen losbricht; die, einmal zum Stillstand gekommen, ein Lächeln im Gesicht hinterlässt. In der Abgeschiedenheit erreichte der Song für uns eine besondere Intensität.
Als wieder Stille eintrat, stand für Martin, Aaron und mich fest, dass wir unsere Route Spirit Bird nennen würden. Nun fehlte also nur noch die freie Begehung. Aufgrund der Müdigkeit dachten wir nur noch ans Abseilen und Schlafen, kaum darüber hinaus.
Der Spannungsbogen unserer Erstbegehung kommt jenem von Spirit Bird nahe. Einmal im wunderschönen Aladağlar angekommen, wollten wir zunächst einige Wände und Winkel kennen lernen. Wir kletterten am einzigartigen monolithischen Parmakkaya, durchliefen ein nicht endendes Canyon, bis die Dunkelheit uns überraschte und machten uns natürlich auch mit der türkischen Kultur vertraut. Die Menschen waren freundlich und zuvorkommend. Von der problematischen politischen Situation bekamen wir vor Ort weniger mit als beim Lesen unserer einschlägigen Zeitungen. Die Kommunikation gestaltete sich als schwierig, weil die meisten nur schlecht Englisch sprechen. Um mit einem sehr sympathischen Brotverkäufer den traditionellen Çay (Rize-Tee) zu trinken, reichte es jedoch allemal. Nach ein paar sehr aktiven und wenigen trägen Tagen begaben wir uns das erste Mal zur Wand Kızılın Başı. Bereits von zu Hause aus hatten wir auf dieser Wand gute Möglichkeiten für eine neue Route ausgemacht. Jetzt wollten wir und an den Felsen und die Eigenheiten gewöhnen. Dazu kletterten wir die Route „Red, Moon and Star“ von Rolando Larcher und Luca Giupponi. Sie Route verläuft genau entlang jener wunderbaren Linie, die auch wir an der unangetasteten Wand gewählt hätten. So wurde uns nur die Freude des Kletterns zuteil, während uns die Mühen des Einbohrens erspart blieben. Die Wand schaffte es, uns von Anfang an zu begeistern: Mit ihrer Exposition, den spannenden Farben und dem Geheimnis, ob noch eine weitere Linie kletterbar wäre. Nach eingehendem Studieren hatten wir zwei Möglichkeiten ausgemacht: in der Nähe von „Red, Moon and Star“ oder noch weiter rechts davon, wo die Wand weniger überhängend und nicht ganz so hoch war. Erstere war schwieriger und anziehender, aber in den wenigen verbleibenden Tage nicht sicher bewältigbar. In Letzterer wären wir sicher ausgestiegen, aber sie war bei weitem nicht so reizvoll. Wir stimmten überein: Die schwierige Linie versuchen und einfach alles geben. Mit Gewissheit voraussehbare Erfolge machen einen sowieso nicht wirklich zufrieden.
Wir richteten unsere Route mit Bohrhaken ein. Jeweils zwei in jedem Stand und dazwischen gerade so viele, dass wir keine Angst hatten. Fanden wir Sanduhren oder schön parallele Risse zogen wir mobile Sicherungsmittel vor. Eigentlich sind wir es gewohnt, Erstbegehungen nur mit Normalhaken zu bewältigen. Wir hatten uns bewusst dazu entschieden, diesmal einen anderen Stil zu probieren. Die Handhabung der Bohrmaschine mussten wir erst erlernen. Doch bald stellte sich Routine ein: Ein paar Meter klettern, Cliff ansetzen und sich ihm anvertrauen, Maschine hochziehen und den Bohrhaken anbringen. Die reine, angstfreie Freude am Klettern und die Suche nach dem besten Felsen rückten in den Vordergrund. Das Abenteuer und die Ungewissheit gingen jedoch mit der Bohrmaschine etwas verloren. Dafür hatten wir viel Spaß, der am Ende des Tages einer zufriedenen Müdigkeit wich. Am dritten Tag zwang uns die Wand kurz vor Ende der Schwierigkeiten zu einer wichtigen Entscheidung. Die geplante und gleichzeitig ästhetischste Linie zog etwas nach links zu einem beeindruckenden Überhang, der von einem gelben und einem schwarzen Riss durchzogen war. Dieser Eindruck wurde uns zumindest auf den Fotos vermittelt. Doch wie die Wandstruktur wirklich geformt ist, blieb uns noch verborgen. Solange, bis Martin zum Beginn des schwarzen Risses hochkletterte und Aaron und mich nachsicherte. Martins Blick verhieß bereits nichts Gutes. Der schwarze Riss war schier inexistent. Das, was wir auf den Wandfotos als kletterbaren Riss interpretiert hatten, war bloß eine besonders dunkle Tönung des beeindruckend steilen Aufschwunges. Doch unser Optimismus blieb ungebrochen. Ein paar Löcher, teilweise nur ein oder zwei Finger breit, wiesen einen Weg nach oben. Vielleicht lag er auch außerhalb unserer Fähigkeiten, aber ich startete einen Versuch. Die Züge waren extrem schwierig. Ich schaffte nicht mehr als drei hintereinander. Nach 15 Metern lehnte sich die Wand etwas zurück, zwei wirklich schmale Leisten ermöglichten es mir, einen kurzen Riss zu erreichen. Es fehlten dennoch drei Meter, bis die Wand flacher wurde. Auch der blindeste Optimismus kann keine Griffe an den Felsen zaubern. Ich befand mich vor einer spiegelglatten Fläche. Enttäuschung kam auf. Martin ließ mich ab. Er hatte seine Konzentration bereits auf die alternative Möglichkeit gelenkt, auf einen griffreicheren Wandbereich weiter rechts. Mithilfe einer ausgeklügelten Seilzugquerung gelang es ihm, den neuen Stand einzurichten. Aaron und ich folgten ihm. Die Bohrhaken des ursprünglichen Versuchs blieben an ihrer Stelle, sie belegen unsere große Motivation und unseren naiven Optimismus. Stärkere Kletterer sind natürlich eingeladen, unsere ursprüngliche Linie fertig zu stellen, obwohl wir starke Zweifel hegen, dass diese letzten Meter überhaupt kletterbar sind. In diesem Moment dachten wir jedoch daran, nach oben zu kommen. Die Sonne stand bereits tief. Das Staunen über die unglaublich warmen Farben hielt sich die Waage mit dem Stress, den die hereinbrechende Nacht provozierte. Im Grunde löste nur das schwindende Licht Unruhe aus. Sobald die Nacht uns vollständig umfing, legte sich eine sehr angenehme Gelassenheit über unsere Seilschaft. Jene verwandelte sich nach der letzten, deutlich leichteren Seillänge im Klang von „Spirit Bird“ in tiefe Zufriedenheit.
Nach einem dringend notwendigen kletterfreien Tag bewältigten wir noch ein letztes Mal den steilen Zustieg zur Wandbasis des Kızılın Başı. Wir wollten die Route frei klettern, was dank der geänderten Linie möglich war, uns jedoch ordentlich herausgefordert hätte. Wir brauchten alle drei einen zweiten Versuch für die jeweils von uns schwierigste eröffnete Seillänge. Wir hatten nur noch diesen Tag, um die Route frei zu schaffen, sodass wir sichtlich nervös wurden. Dies wirkte sich auch auf den Kletterfluss aus. Unser Ziel der freien Begehung erreichten wir trotzdem, ebenso die erfüllende Euphorie, die wir zwei Tage zuvor in der Tiefe der Nacht verspürt hatten.
Die Erstbegehung von „Spirit Bird“, zusammen mit all den anderen gekletterten Routen, den Eindrücken der einsamen Landschaft und der freundlichen Menschen, machten die Reise ins Aladağlar in der Türkei zu etwas ganz Besonderem.
02-04-11.2018 Wilder Kaiser
Allerheiligenwochenende - Wetterbegünstigte Nordseite der Alpen lädt zu einem Besuch des Kaisergebirges. Von Martin Dejori
Am ersten Tag stand ein Besuch im Klettergebiet Achleiten auf dem Programm. Eine wunderbare Kalkwand mit unterschiedlichsten Klettereien: von Plattenschleichern, boulderigen Routen bis zu ausdauernden Traumlinien findet man in diesem idealen Herbstklettergarten alles. Bis es dunkel war kletterten alle mit voller Motivation, sodass niemand so recht daran dachte wo wir die Nacht verbringen könnten. Spontan landeten wir in St. Johann, wo bei einem nepalesischen Abendessen die Pläne für die darauffolgenden zwei Tage geschmiedet wurden. Schlussendlich einigten wir uns darauf, etwas im Gebiet der Steinernen Rinne zu klettern und dann am Ellmauer Tor zu übernachten.
Leider mussten Miran und Daniel krankheitsbedingt am nächsten Morgen zurück ins verregnete Südtirol. Titus, Janluca, Alex und ich machten uns bei grauen Nebelschwaden auf den Weg Richtung Ellmauer Tor. Der Wetterbericht hatte Hochnebel bis auf 1800m vorhergesagt, jedoch war niemand von uns optimistisch noch in Genuss von Sonnenschein zu kommen. Aber dann - kurz oberhalb des Kübelkars eröffnet sich ein wunderbarer Anblick: im Süden der tiefwinterliche Alpenhauptkamm und ein Wolkenteppich soweit das Auge reicht. Unglaublich!
Am Ellmauer Tor angelangt, hat man perfekt Sicht auf die ostseitige Wandflucht der Fleischbank, wo im letzten Jahrhundert mehr als einmal Alpingeschichte geschrieben wurde. Große Kletterer wie Hans Dülfer oder später auch Reinhard Karl und Stefan Glowacz haben sich mit ihren legendären Routen wie „Pumprisse“ und „Des Kaisers neue Kleider“ verewigt. Da die Zeit für die ganz großen Linien an der Wand ein wenig zu knapp ist, fällt die Wahl auf zwei Touren im oberen Wandteil: die Südostverschneidung und die Route Memory. Über den Wolken schwebend genießen wir den perfekten Klettertag… Einzig und allein der Gedanke, wieso man eine klassische Tour wir die Südostverschneidung mit geklebten Haken saniert hat, auch wenn man sie perfekt mit mobilen Sicherungen und guten Haken absichern kann, stimmt mich ein bisschen nachdenklich. Als Dolomitenkletterer muss man sich erst Mal daran gewöhnen, dass neben einem super Normalhaken ein Klebehaken steckt. Tief im Schlafsack und anderen Gedanken versunken, den mit Sternen übersäten Himmel anstarrend, vergisst man solche alpinethische Fragen dann schnell wieder und realisiert wie klein man eigentlich im Ganzen ist…
Am darauffolgenden Tag haben wir die vorderen Karlsspitze ins Auge gefasst. Titus und Alex klettern die Hammer-Führe, Janluca und ich hingegen die Route Sportherz. Beide Linien verlaufen auf bestem Kalkfels und sind zum größten Teil mit Bohrhaken abgesichert. Ein entspannter Klettertag rundet so dieses gelungene, verlängerte Wochenende ab.
Eins war bei der Heimfahrt klar: es wird wohl nicht das letzte Mal im Koasa gewesen sein!
Nuvole Bianche
Una via nuova sulle Odle - Dolomiti
Anche se in Dolomiti roccia vergine oramai è rara e trovare una bella linea non ancora scalata non è facile per chi cerca e va in luoghi un po’ meno conosciuti ci sono ancora tante possibilità. La voglia di aprire una via nuova era grande anche per me e il mio amico Matteo Vinatzer e così tenevamo gli occhi sempre bene aperti andando in giro per le nostre montagne e studiavamo le guide per trovare qualcosa che si potrebbe ancora fare. Poi finalmente sul Sas dla Porta, la montagna a est del Sas Rigais, abbiamo trovato una parete alta circa 350 metri, ripida e bella che non era ancora stata salita al centro. Volevamo subito andare a vedere e nell’estate del 2014 abbiamo fatto un primo tentativo.
Entrambi non avevamo mai aperto una via prima e eravamo abbastanza inesperti quando siamo partiti per i primi metri di questa via. I primi 100 metri della parete sono subito quelli più difficili: roccia non sempre buona e strapiombante. Sono partito io e piano piano mi arrampicavo verso l’alto, non c’era un diedro o una fessura evidente da seguire, più si doveva analizzare la roccia metro per metro e cercare prese da tenersi e buchi per piazzare qualche Friend. Ci ho messo un bel po’ fino che sono riuscito a trovare un posto per attrezzare una sosta. Purtroppo poi quel giorno il tempo è peggiorato e ha iniziato a piovere. Ci siamo calati alla base della parete e siamo scesi in valle, poco convinti di voler proseguire.
Circa un mese dopo però siamo tornati, sono salito di nuovo il primo tiro e dalla sosta analizzavo la parete sopra di me: una muraglia gialla che non sembrava facile. Sono partito verso sinistra ma rimasi bloccato sotto un piccolo tetto, agganciato al “cliff”. Ho iniziato a cercare prese per poter scalare più in alto e infilando la mano in un grande buco ho tolto un sasso incastrato e così si è creata una bella clessidra. Questa protezione mi dava fiducia e coraggio a proseguire. Piano piano riuscivo a salire questo tiro strapiombante, piazzando qualche Friend in dei buchi nascosti e battendo due chiodi fino a quando la parete diventava un po’ meno ripida e potevo fare una sosta. Ora mancava solo un ultimo strapiombo, riuscivamo già a vedere le placche grige sopra dove speravamo che la via diventasse più facile. Feci due tentativi di vincere quest'ultimo strapiombo ma non ci riuscivo. Sia le braccia che la testa erano stanchi e abbiamo deciso di scendere e tornare un'altra volta.
Sono passati due anni fino a che avevamo di nuovo voglia di sfidarci con quella parete. Nell’estate 2016 siamo tornati molto motivati per poter finalmente portare a termine questo progetto. Piantando alcuni chiodi e usando un po’ tutte le tecniche dell’arrampicata artificiale siamo riusciti a vincere anche l'ultimo strapiombo e avevamo via libera verso l’alto. Seguivano ancora 3 tiri su delle placche molto belle con roccia stupenda e finalmente ci trovammo in cima e anche se circondati da nuvole eravamo molto soddisfatti.
Ma appena ritornati in valle i miei pensieri tornavano a questa nuova via, specialmente al secondo e al terzo tiro, dove abbiamo dovuto rincorrere all’artificiale per salire. Era chiaro che dovevamo tornare e tentare la libera.
Dovettero passare altri due anni, ma quest’estate finalmente siamo tornati al Sas dla Porta e siamo riusciti a liberare anche il secondo e il terzo tiro e eravamo entusiasti della via, la ricordavamo meno bella. Una stretta di mano in cima e un sorriso in faccia per esprimere la gioia che provavamo. Purtroppo anche questa volta ervamo avvolti dalla nebbia e la vista era pari zero.
Ogni volta che abbiamo scalato su questa via prima o poi eravamo avvolti da nuvole e nebbia, quindi abbiamo scelto il nome Nuvole Bianche.
Aaron Moroder
Uein Line
Neue Route an der Großen Fermeda in den Geisler Dolomiten
Die einzigartigen Felsformationen der Geisler begrenzen die Almwiesen von Ncisles und Mastlé im Norden. Nicht umsonst nennt man sie in ladinischer Sprache “Odles“: die schlanken Formen der Kleine und Große Fermeda, Odla de Cisles und Sas de Mesdì ragen steil in den Himmel hinauf, nebeneinander aufgestellt wie Nadeln.
An der mächtigen Südseite der Großen Fermeda ist mir schon vor längerem ein schwarzer Wasserstreifen aufgefallen, der aus der Rinne im oberen Wandbereich entspringt, in der die Normalroute verläuft. Der Fels muss dort exzellent sein und sofort versuchte ich eine Linie durch die Wand zu ziehen: Wenn man im unteren Bereich der Schlucht folgt, dann über steile Platten bis zum Wasserstreifen klettert, könnte man diesem folgen und im oberen Bereich über einen Pfeiler nahezu bis zum Gipfel klettern. Unmöglich, dass eine solche Linie noch keinem aufgefallen ist. Ich studierte die Führer konnte aber glücklicherweise nichts finden.
Meinem Freund Miran, der immer motiviert ist, erzählte ich von der Idee und auch er war begeistert. Bei der ersten Gelegenheit galt es zu Tat zu schreiten.
Am 4. August war es so weit, in den frühen Morgenstunden folgten wir der Südost-Kante der Kleinen Fermeda. Nach fünf Seillängen wurde es ernst: wir betraten Neuland, eine steile Verschneidung gab den Weg klar nach oben vor. Von dort kletterten wir, nach Links querend, über herrlich Platten bis auf ein Band unterhalb des Wasserstreifens, der das Herzstück unserer Route werden sollte. Den unteren steilen Teil des Streifens umgingen wir auf der rechten Seite doch es war schwieriger als vermutetet. Hakenfeindlich kompakter Fels und wenig Risse für Friends machen die Absicherung oft schwierig. Der Weg in die unbekannten Platten ober mir schien mir zu riskant, lieber kletterte ich zum Stand zurück und versuchte es auf der rechten Seite. Ich schlug einen kurzen Haken in einen Riss und wunderbare Löcher in bombenfestem Fels gaben mir die Richtung vor. Endlich kletterten wir durch den Wasserstreifen gerade nach oben. Die Kletterei war eine wahre Freude und ehe ich mich versah hatte ich eine blaue Sanduhrschlinge vor mir. Wir waren bereits in der Normalroute der Große Fermeda und mussten dieser jetzt eine Seillänge folgen. Wahrscheinlich hätte man auch weiter links klettern können, allerdings wollten wir ja einer, von der Natur vorgegeben Linie folgen und nicht einer Felswand eine Route aufzwingen nur weil dort noch keine war.
Über drei originelle Seillängen kletterten wir noch über den letzten Pfeiler hoch bis auf den Grat unweit vom Gipfel. Oben angekommen drückten wir uns, mit einem strahlenden Grinsen die Hände. Doch durch das Villnösstal zog eine Gewitterfront in unsere Richtung. Wir verzichteten auf den Eintrag ins Gipfelbuch. Jedes Mal als ich die Arme hob, um das Seil aufzunehmen, summte es in meinen Fingerspitzen. Schnell warfen wir das Seil einfach in den Rucksack, packten die Ausrüstung zusammen und verließen hastig den ausgesetzten Grat. Abkletternd und abseilend stiegen wir über die Normalroute ab und gelangten bald bis zum Wandfuß.
Vor einem ersten Regenschauer fanden wir in einer Almhütte Schutz. Zufrieden blickten wir nochmal die Wand hoch, folgten der neuen Linie und erinnerten uns an die genussvollen Seillängen zurück, die wir durchklettern konnten.
Widmen wollen wir die Route unserem guten Freund Bernard Mahlknecht, der bei einem Kletterunfall am 17. Juni am Agner ums Leben kam. Seine Lebensfreude wird uns für immer in Erinnerung bleiben.
Aaron Moroder
Tre vie nuove in Vallunga
Chi non conosce la Vallunga? Questa valle incantevole si intaglia per ben 10 chilometri da Selva di Val Gardena nell'altopiano del Puez, con paesaggi bellissimi, apprezzati specialmente dagli escursionisti. Tra alpinisti la Vallunga è molto amata per le tante cascate di ghiaccio che si formano d'inverno in parte anche di notevole impegno.
D'estate sulle pareti verticali, alte fino a 500m fino a ora non si vedevano tanti arrampicatori. Effettivamente sfogliando le guide si trovano ben poche vie in questo angolo delle Dolomiti. Una ragione potrebbe essere che la qualità della roccia non è certo paragonabile a quella della Marmolada o anche che le pareti in fondo alla valle portano con se un avvicinamento assai lungo.
Però Armin Senoner, guida alpina di Selva, non ha potuto resistere all'immensa parete del Steviola, all'inizio della Vallunga e ben visibile dal paese. Durante gli ultimi 2 anni ha aperto tre vie nuove: la "Via Mirko" con Manuel Nocker, anche lui guida alpina a Selva, la "Via Elia" con Florian Grossrubatscher e la "Via Mara" con Antonio Tommasini. Tutte e tre apperte dal basso con fix da 10mm e quindi benissimo attrezzate. Dopo le vie sono state bene ripulite e percorse in libera affrontado anche difficoltà abbastanza elevate.
Grande vantaggio è sicuramente che su questa parete si può arrampicare per un periodo molto lungo dalla primavera fino tardi d'autnno, essendo esposta a sud e a quota moderata.
Anche se le vie sono ben attrezzate, facilmente accessibili e esposte a sud la lunghezza e le difficoltà sostenute non vanno sottovalutate.
Alpiner Förderpreis 2018 dl AVS per Martin y Titus
On na gran legrëza che a doi cunselieres dl GAG, Titus Prinoth y Martin Dejori, ti iel unì sëurandat l Alpiner Förderpreis dl Alpenverein Südtirol. Per l prim iede l à giapà na cordata mpede un dassëul, ajache gran pert dla ventures ai fat adum: vies dastramb ries tl crëp y tla dlacia. L priesc ie unì sëurandat ntan la senteda generela dl AVS a Lana ai 05.05.2018. Alex, si boniscimo cumpani, à abù l unëur de pudëi tenì la Laudatio per ëi doi. Tlo dessot pudëis la liejer do.
Martin und Titus sind für mich Kletter- und Seilpartner, und am wichtigsten, außerordentlich gute Freunde. Ich freue mich sehr für sie und bin stolz auf sie, dass sie den diesjährigen alpinen Förderpreis des AVS verliehen bekommen.
Als Stefan „Stoan“ mir den Vorschlag machte, eine Laudatio für sie zu halten, war ich am Anfang wenig überzeugt. Normalerweise machen das doch ältere, erfahrenere Kollegen. Andererseits, wer kennt sie besser als ich, der ich das Glück habe unzählige Touren mit ihnen geklettert zu sein.
Titus und Martins Tourenbücher enthalten viele gemeinsam gekletterte Routen, erzähle viele miteinander geteilte Abenteuer. Oft konnte ich auch mit dabei sein. Schließlich teilen wir auch eine große Leidenschaft, die das Leben eines Menschen auszufüllen vermag; die des Alpinismus in allen seinen Spielformen. Martin und Titus sind beide hervorragende Alpinisten, doch die großen Touren haben wir nur durch die Seilschaft, die wir bilden, geschafft: Die Seilschaft ist mehr als die Summe der Einzelkompetenzen, sie ist Quelle von Motivation, Ideen und Freundschaft.
Martin begann sehr früh mit dem Sportklettern, bevor ihn eine jugendliche Neugierde und Abenteuerlust mit 14 Jahren dazu bewegten, höhere Felswände zu erklettern. Die Faszination dafür bekam er von seinem Vater Ewald mit, einem aktiven Bergretter; auf der anderen Seite flößten ihm die Erzählungen des Vaters über gefährliche Einsätze auch viel Respekt ein. Deshalb kletterte er zunächst viele leichte und kurze Routen an den Sellatürmen und an der Ciavazes-Südwand, wo er viel Erfahrung sammelte.
Titus hingegen, um 4 Jahre jünger, fing sofort mit schweren alpinen Routen an. Martin und ich waren nämlich seine ersten Kletterpartner und wir waren schon mutiger geworden und suchten größere Herausforderungen. Titus Klettertalent und Gespür für den Felsen zeigten sich rasch, sodass er von Anfang an im Vorstieg kletterte, langsam und immer sehr auf Sicherheit bedacht. Diesen Stil hat Titus bei den Erstbegehungen bis heute beibehalten: Mit einem selbst gebauten Stand gibt er sich erst zufrieden, wenn er mindestens drei gute Haken geschlagen hat. Dabei schlägt er Haken mit einer großen Kraft, die man seinem schmächtigen Körper nicht zutrauen würde. Mit 14 Jahren durchstieg er bereits die Soldà-Route am Langkofel, über 1000 Meter lang mit mehreren Seillängen im 6. Schwierigkeitsgrad. Ein Jahr später tobte er sich an der Villnösser Rotwand aus, einer überhängenden Wand in der Geisler-Gruppe. An dieser beeindruckenden aber relativ unbekannten Wand konnte Titus zwei Routen des Vorbildes Adam Holzknecht klettern: „Franz Runggaldier“ und „L cator“, im achten Grad oder sogar noch drüber.
Während Titus noch die Dolomiten entdeckte, zog es Martin bereits in die Westalpen, zu den höheren Bergen. Chamonix hat es ihm sehr angetan, nicht nur die umgebenden Gipfel, sondern auch das besondere Flair dieses Ortes, wo es nur Alpinisten zu geben scheint. Am Mont Blanc, Aiguille Verte und Grand Jorasses kletterte er schwierige Routen und erlebte wunderschöne Sonnenaufgänge, die seine Faszination für die Fotografie entfachten. Auch in den Bergen, in schwierigen Routen fotografiert Martin sehr bewusst. Er sucht einzigartige Motive, auch wenn dies mit zusätzlicher Anstrengung verbunden ist. Wir freuen sich über die schönen Fotos, die wir von ihm bekommen; dass er selber fast nie auf den Bildern ist, stört ihn nicht.
Das Wiederholen von Routen bereitet Titus und Martin zwar nach wie vor Spaß, aber irgendwann wollten sie auch eine eigene Linie klettern, sich ins Unbekannte vorwagen. Martin schuf 2012 „Africa“ am Östlichen Mëisulesturm, die mittlerweile oft wiederholt wird. Titus gab ein beeindruckendes Debüt im Erstbegehen an der vielleicht berühmtesten Dolomitenwand, der Nordwestwand des Monte Civetta: In der neuen „Via degli Studenti“ eröffnete er die abweisendste Seillänge: Eine nasse, überhängende, brüchige Verschneidung; schwierig und unschön zu klettern. Doch Titus arbeitete sich mit Bedacht und Beharrlichkeit hoch und zu unserer Überraschung fand er sogar viel Spaß daran. Für Titus bedeutet brüchig nun mal spannend, interessant. In der Civetta-Wand war auch Martin dabei, außerdem noch unser gemeinsamer Freund aus Genua Giorgio und ich. Ein Jahr später eröffneten wieder wir vier „Ricordi nebbiosi“ an der Cima della Busazza, eine weitere 1000 Meter Wand mit einer spektakulären Dächerzone kurz unterhalb des Gipfels. Auch diese Route schafften wir nur dank unserer eingespielten Seilschaft: An der schwierigsten Seillänge mühten Martin, Giorgio und ich uns acht Stunden lang ab. Anschließend war Titus dann der einzige, der für die darauffolgende schwierige Seillänge noch genug Kräfte übrig hatte.
Eine außergewöhnliche Leistung gelang Martin und Titus am Monte Agner in den Pale di San Lucano. Als erste überhaupt wiederholten sie die Route „Storia infinita“ von den legendären Gebrüdern Coubal. Titus und Martin kletterten die Route sogar im Winter, weil die schwierigen Seillängen nach einem niederschlagsarmen Herbst zum ersten Mal trocken schienen. Von der Route war nur allzu wenig bekannt, im Bericht der Erstbegeher las man ein schauriges, fünf Tage dauerndes Abenteuer heraus. Doch die junge Grödner Seilschaft kam dank ihres Kletterkönnens erstaunlich gut voran, sodass sie bereits nach eineinhalb Tagen aus der Wand ausstieg und rechtzeitig zur Silvesterfeier zurück nach Hause kehrte. Im Winter drauf kletterten Martin und Titus an der gegenüberliegenden Talseite die „Via della Collaborazione“ auf den Spiz de Lagunaz. Dabei verbrachte Titus die Nacht auf einer Latschenkiefer mitten in der Wand, was ihm jedoch dank seines Humors keine Probleme bereitete.
Von Titus könnte man nun noch seine Winterbegehungen und Erstbegehungen an der Villnösser Rotwand erzählen, von Martin seine Begeisterung für Skitouren und Hochtouren. Doch beide haben auch noch andere Beschäftigungen. Titus ist gerade aus Schweden zurückgekehrt, wo er den größten Teil der Ausbildung zum Hubschrauber-Piloten absolviert hat. Martin studiert Umweltingenieurwesen und ist seit kurzem auch als Bergführer in seinen geliebten Bergen unterwegs. Beide sind in der Grödner Bergrettung aktiv und immer bereit und motiviert, wenn es darum geht, anderen zu helfen. Beide sind sehr gesellig und langen Abenden mit Freunden und Feiern jeder Art alles andere als abgeneigt.
Ich schätze mich sehr glücklich, sie zu meinen besten Freunden zählen zu dürfen. Ich wünsche euch, Martin und Titus, noch viele schöne Abenteuer und behaltet die Vorsicht bei, mit der ihr unterwegs seid, dann könnt ihr noch alle Berge dieser Welt entdecken.
Eine Auswahl Martins und Titus‘ Touren:
Martin und Titus gemeinsam, in Seilschaft (unter anderem auch mit Giorgio und mir):
Erstbegehung “Via degli Studenti”, Civetta Nordwestwand, VIII- A0 1180 m
Erstbegehung “Ricordi nebbiosi”, Cima della Busazza, IX- A1 1170 m
Erstbegehung “L fever”, Frea Alpin, VIII 180 m
1. Wiederholung “Storia infinita”, Monte Agner, im Winter, VIII- 1400 m
“Via della Collaborazione”, Spiz de Lagunaz, im Winter VII 900 m
British Route, Freney-Pfeiler, Mont Blanc ED 1000 m
Titus:
Erstbegehungen “Via tl Vënt” Villnösser Rotwand VIII+ 200 m
Erstbegehung “Ruhe, wo immer du bist”, Villnösser Rotwand VIII+ A1 200 m
Wintertrilogie an der Vilnösser Rotwand:
„Rudi Runggaldier“ VI A3 200 m
„Franz Runggaldier“ VIII 200 m
„L cator“ VIII+ A1 180 m
1. Rotpunktbegehung „L nes“, Langkofel Nordwand IX 1000 m
Die klassische „Heckmair“ an der Eiger Nordwand mit Janluca Kostner, beide 18-jährig
Martin:
Erstbegehung „Africa“, Östlicher Mëisulesturm VIII- 200 m
Klassische „Schmidt“-Route an der Nordwand des Matterhorns
„Colton-McIntyre“, Nordwand des Grand Jorasses ED1 VI 6 1200 m
1. Wiederholung „Colonne d’Ercole“, Civetta Nordwestwand IX 1200 m
“Nuvole Barocche", Civetta Nordwestwand IX+ A2 1240 m
16.12.2017 Mpue dan che scumencia l'inviern sun la Stegerkante
Miran y Alex à ulù se anjinié ca sun l'inviern fajan na via che ne ie sceno nia tan ria iusta do che l ova nevët. Nteressant tan ria che chësta via fova te n iede, dessegur iel stat n bon training per fé mo autra "invernali". Test de Miran Mittermair.
L ie la 7:30 canche Alex me scrij che l vën n 10 menuc plu tert, ajache l à mo na drëta fam. Fat ora an’s dal Oswald ulache Alex passa pona ënghe a me tò ntëur la 7:50. L ie ntëur ai -10°C te Sëlva y perchël iel dastramb bel a senté ite tl auto sciaudà. Do avëi rujenà n trëi totlaries ruons riesc sul jëuf de Sela ulache lascion l auto. L mostra su -13°. Anjinion ca dut y po muons cun n var mpue massa debota de viers dl bel ciampanil che ie plën de nëif. A ruvé pra parëi se rendon for plu y plu cont tan de nëif che l ie y son tramedoi dal bunder coche l sarà. Alex pea via y taca belsnel adum doi trac per pona fé l prim stond te surëdl. Mussi dì, che tl prim toch me ei mpue sperdù, tan plu rie che l ie a jì a crëp cun mi nuef Phantom y duta la nëif. Cuntënt sons pona a ruvé pra Alex tl surëdl. Davia che l ie mi prima via tla nëif va Alex, che ie da puech ënghe denventà mëinacrëp, for da prim. L vën n valgun trac dastramb biei y nteressanc per tramedoi, ënghe ajache degun de nëus cunësc bele la via. Uni tant audi Alex che dij che ti sa nia saurì. Coche cunesci Alex uel chël di da stramb rie, ma te chësc cajo rati uelel me me fé sentì miec y me anjinié ca sun i trac. Davia che la via ie bendebo limeda me ei mpo stentà a me tenì y ei messù me senté ite tla corda a me studié ju n mumënt l var. Do che me ei po trat ora la manëces me ei po zanà su per la sfënta. L ultimo trat ti dà ënghe da cë a Alex. L à pero dejmustrà na gran profescionalitá metan de bela segurëzes y fajan muvimënc dastramb eleganc. Do n pez me ntendì che l va cun n bel var y sei che l ie tan che sainsom. Alex à nscì fat duta la via frei, sënza grifs, na bestia. Pià via tl ultimo trat sons mpue melsegur. I prim vares feji mpo bel aslune, ma canche ruvi po tl parëi ërt, veiji mpò che son mo nia bon de fé chisc vares, mpo nia saurì ai fé frei cun duta la nëif. Scumënce a tré ti express y nscì me tiri ënghe ie su a vel maniera. Cuntënt son po de avëi arjont la piza. Se on destacà i son jic sun la pert a sud, ulache se on po sentà ju a surëdl y on maià y bu dut chël che an. Davia che l fova tan bel ilò, sons stac n ëura y mesa rujenan de argumënc bendebo persunei. Do che an po rujenà y dat da maië ënghe ai curnacins, che ova na drëta legrëza, sons po muec juvier per la via normal. Ajache l fova tan de nëif rëudla sons jic sënza griffs. Jan juvier me ei inò rendù cont dla gran capaziteies de Alex, udan la sëuridanza cun chëla che l se muova. A luesc fovel tan de nëif che la univa nchina i cumedons. Canche fan japé, ie pona Alex muet cun n gran var de reviers dl auto. Jan sot dassënn tla nëif y Alex me muciova via. Do che ei po suà ora dut son ruvei pra auto ulache Alex à menà su la mujiga y se on mo godù n mumënt l panorama. Juvier sons mo tlamei dal Ciamin a maië na pizza y nscì ons finà via mi prima ventura de jì a crëp tla nëif. Son da stramb cuntënt che Alex me à teut pea y me à dat chësta puscibltà. Ёnghe sce la via ne conta mo nia coche na invernale, ans dessegur cundizions dut auter che saurides, cun frëit, vënt y nëif sun uni pitl grif. Alex muessa sën jì a se anjinié ca sun la Generela di judacrëp y ie me sënte sun canape. Bravi, boni fans.
Traumtour an der Marmolada
Einige Routen sind etwas wirklich Besonderes. Die " Via della Cattedrale" ist eine davon!
POOLDER 2017
St. Ulrich, 12. August, früher Nachmittag: Die ersten Athleten erscheinen im Schwimmbad Mar Dolomit. Heute wird sich alles ums Klettern drehen, das Wasser dient nur zum Auffangen; die Kletterer entziehen sich seiner horizontalen Oberfläche, sie tun alles um in der Vertikale zu bleiben. Die Qualifikation ist gut besucht und die Stimmung bereits aufgeheizt, trotz des kalten Wetters. Jeder Kletterer gibt sein Bestes auf 3 Boulder, deren Schwierigkeit der Routenbauer Christian Mantinger zusammen mit Mario Obwegs sehr gut getroffen hat. Die besten Athleten tun sich schnell hervor: Giulia Alton und Elisabeth Lardschneider und Lorenzo Malatesta, Elias Sanin und David Piccolruaz gelangen ins Finale. Am frühen Abend legt DJ Kevin Brook die ersten Platten auf, die geladenen Athleten sind eingetroffen. Die Zuschauer drängen bis an den Beckenrand, Spannung liegt in der Luft, manche holen sich noch ein kühles Bier. Bei der Athleten-Vorstellung wird schnell klar, mit wem man es hier zu tun hat: Italiens beste Boulderer sind angereist, manche haben auch Weltcup-Erfahrung. Und doch wird einer für eine Überraschung sorgen.
Wiederum müssen 3 Boulder geklettert werden, pro Runde scheiden jeweils 2 aus; 6 bzw. 7 Kletterer sind es am Anfang. Am letzten Final-Boulder treten nur noch 3 weibliche und 3 männliche Boulderer gegeneinander an. Claudia Ghisolfi erreicht den TOP souverän im ersten Versuch, Giulia Medici platziert sich mit einem hart erkämpften TOP im zweiten Versuch vor Andrea Ebner.
Lorenzo Malatesta klettert los, an großen aber äußerst abweisenden Griffen zieht er sich elegant hoch, er ist bereits ganz weit oben. Auch der letzte, dynamische Zug gelingt, die Menge tobt. Doch die Favoriten müssen noch klettern, die Kenner fragen sich schon ob dieser letzte Boulder vielleicht zu leicht ist. Stefan Scarperi und Michael Piccolruaz mühen sich jedoch vergeblich ab, auch nach dem dritten Versuch haben sie den TOP nicht erreicht. Lorenzo Malatesta war schon in der Qualifikation aufgefallen, jetzt ist er die Sensation des Abends.
DJ Brook dreht weiter auf, die Wettkampf-Atmosphäre verwandelt sich in eine Party-Atmosphäre, war zuvor noch die Kletterwand Mittelpunkt des Geschehens, sind es jetzt die Bühne und der Ausschank. Die Athleten freuen sich über ein Preisgeld von insgesamt € 2000 und schöne Sachpreise.
Die Band Madax tretet auf, die Fläche vor der Bühne füllt sich mit einem begeisterten Publikum, es wird gespielt, getanzt, gefeiert. Danach übernimmt wieder DJ Kevin Brook, bis tief in die Nacht hinein. Die Kletterwand ist in ein fahles Licht getaucht, vereinzelte führen sich noch einmal die spannendsten Momente des Abends vor Augen.
Alex Walpoth
Pics
Andreas Senoner Photography | Martin Dejori
Piz Bernina - Piz Palü
Vom 21. bis 23. August waren Alex und Martin zusammen mit Thomas Gianola aus Bozen im Bernina Gebiet unterwegs.
Der Biancograt ist wahrlich eine Himmelsleiter, eine wundervoll geschwungene Linie, wie sie nur der beste Künstler zeichnen würde. Am Abend auf der Tschierva-Hütte bleibt der Grat noch in den Nebelschwaden versteckt. Den Sonnenaufgang erleben wir auf der Fuorcla Prievlusa. Wir sind hier zum Üben, zum Staunen. Der Firngrat könnte noch viel länger sein, das Steigen ist elegant, umgeben von so viel Schönheit. Der Weg vom Piz Bianco zum Piz Bernina ist ausgesetzt und schwierig, die Erstbegeher schafften hier etwas absolut Unmögliches, zumindest nach dem Urteil der umgekehrten Vorgänger. Für uns heute ist es relativ leicht möglich, doch der Gedanke zurück erzeugt Ehrfurcht.
Die Piz Palü-Überschreitung am nächsten Tag ist mehr als eine bloße Zugabe, es ist eine schöne Tour die uns in einem logischen Kreis zurück nach Pontresina bringt.
Grand Jorasses Ostwand - Gervasutti
Vom 11-13. Juni kletterten Alex Walpoth und Janluca Kostner auf einer der wildesten Alpenwände. Von Alex Walpoth
Als wir weit in das Val Ferret hineinfahren und zur Ostwand des Grand Jorasses hinaufsehen, prallen unsere Vorstellung und die Wirklichkeit aufeinander. Wie jedes Mal bin ich fasziniert, wie unser Geist versucht, diese unterschiedlichen Aspekte in Einklang zu bringen. Die Beschreibung „eine der abgelegensten Wände der Alpen“ überträgt sich auf eine weit über uns aufragende Felsformation. Dank der gesammelten Informationen entsteht eine imaginäre Linie auf der Wand, deren entlang wir klettern werden.
Janluca und ich staunen noch eine ganze Zeit lang, sind in Gedanken bereits mitten in der geheimnisvollen Ostwand der Grand Jorasses. Bis dahin ist es jedoch ein langer, anstrengender Weg. Zusätzlich lasten die großen Rucksäcke schwer auf unseren Schultern. Am modernen und architektonisch einzigartigen Gervasutti-Biwak gehen wir vorbei, weil der lange Juni-Tag uns noch viel Licht schenkt, aber leider auch eine zermürbende Hitze. Über den aufgeweichten Frebouze-Gletscher erreichen wir tief spurend den Col des Hirondelles, hier werden wir die Nacht verbringen. Ein kalter Wind frischt auf, Nebelschwaden ziehen über uns hinweg, erst in der tiefen Nacht liegen wir unter einem sternenklaren Himmel, auf kaltem Untergrund.
Im Morgengrauen schlüpfe ich aus dem dünnen Schlafsack und bin erleichtert, mich bewegen zu dürfen. Janluca, der einen Winterschlafsack mitgebracht hat, würde auch noch länger in Ruheposition verweilen. Mit den ersten Sonnenstrahlen prasseln schon die ersten Steine über unsere Einstiegsrampe hinab. Dass der Steinschlag bereits jetzt einsetzt, erschüttert mich und verstärkt die Zweifel, ob es wohl doch zu warm ist. Doch wir meiden die Rampe, indem wir über glatte Granitstrukturen klettern und es kommen auch keine weiteren Steine nach. Ich steige behäbig, unsicher und vertraue nur eingeschränkt den Frontzacken. Im nächsten Stand bemerke ich, dass ich die Steigeisen verkehrt herum angezogen habe, ein gravierender und überhaupt zum ersten Mal passierter Fehler, glücklicherweise ohne Auswirkung. Querend erreichen wir das Y-Couloir, ein charakteristisches, oft schneebedecktes Band im unteren Wanddrittel. Äußerst mühsam arbeiten wir uns zum linken Arm des Y hin, im weichen Schnee sinken wir bis zur Hüfte ein und öfters haben wir das Gefühl, mitsamt den nassen Schneemassen abzurutschen. Wir erkennen nicht, wo unsere Route genau hinaufzieht. Weil wir das weitere Queren im Schnee leid und mittlerweile durchnässt sind, klettere ich über eine brüchige Verschneidung hinauf, alles andere als überzeugt davon, dass wir uns auf der richtigen Route befinden. Ein Karabiner und eine Schlinge, die um eine große Schuppe läuft, weisen mich darauf hin, dass meine Befürchtungen begründet waren. Über uns zieht eine glatte Wand nach oben, eine Verschneidung deutet sich leicht an: Nichts, was ein noch so mutiger und herausragender Alpinist der Vierziger-Jahre, wie Giusto Gervasutti es war, hätte klettern können. Nach einer Abseillänge stehen wir endlich am Anfang der wichtigsten Route des Mythen Gervasutti. Er hatte diese Wand zusammen mit Giuseppe Gagliardone 1942 erstbegangen, es würde seine schwierigste Route werden, auch weil er nur wenige Jahre darauf auf dem nach ihm benannten Gervasutti-Pfeiler den Tod fand.
Die ersten drei Seillängen klettern wir mit den klobigen Bergstiefeln. Ein nasser Überhang ist schwierig zu überwinden, an die Kletterei im Granit mit seinen kantigen Strukturen und glatten Flächen müssen wir uns erst gewöhnen. Janluca legt die Kletterschuhe an und stemmt sich einen breiten Riss hinauf bevor er an einer Quarzader in eine Verschneidung hineinquert. Die Griffe sind nass, der gelegte Friend von zweifelhafter Haltekraft: Janluca spreizt konzentriert auf den abschüssigen Tritt, drückt sich in die Verschneidung hinein und kann endlich einen Haken einhängen. Die folgende Verschneidung ist zwar wunderschön zum Klettern, jedoch rinnt wieder Wasser hinunter. Daran würden wir uns bald gewöhnen, die gesamte weitere Route ist nämlich nass. Die Sonne ist hinter einem Nebelvorhang verschwunden, aufgrund der hohen Temperaturen schmilzt der Schnee, der sich auf den meisten Bändern befindet, trotzdem. Die nächste Seillänge klettert Janluca technisch, die Gedanken an den schönsten Kletterstil rücken in den Hintergrund. Nun lehnt sich die Wand etwas zurück und ich gewinne schnell Klettermeter auf schönen Platten, dann unterbricht eine glatte Wand meinen Kletterfluss. Zwei Haken, zu weit voneinander entfernt um sich daran hochzuziehen, stecken in einem schmalen Riss. Ich schlage einen kurzen Messerhaken dazwischen, steige hoch an, setze einen Friend und zerre mich zu einer Verschneidung hinauf, die wieder frei kletterbar ist. Ein kurzer, aber deutlich überhängender Aufschwung trennt uns noch von der letzten, zum Tronchey-Grat hinaufführenden Rampe. Leider haben wir keine Steigleiter mitgebracht und so wird es ein gänzlich uneleganter Hakentanz mit entkräfteten Armen. Die folgenden zwei Seillängen verlaufen auf angelehnten aber glatten Platten, wir müssen sehr präzise hintreten. Glücklicherweise erzeugt auch der nasse Granit genug Reibung und wir gelangen in leichteres Gelände. Ich muss an Renato Casarotto denken, der auf diesen während seiner Begehung höchstwahrscheinlich vollständig eingeschneiten Platten Undenkbares geleistet haben muss. Er hat 1985 die Gervasutti allein im Winter begangen.
Den Tronchey-Grat erreichen wir spät und ermüdet. Wir bewegen uns an großen Blöcken und schneebedeckten Kämmen entlang, bis wir ganz oben sind, dort wo alle Wände der Grand Jorasses zusammenlaufen, eingehüllt im Nebel der nur kurz aufreißt, als würde der Berg geheimnisvoll bleiben wollen. Das bleibt er genauso wie unser Inneres, das dort oben eine überschwängliche Freude empfindet.
Der Abstieg im weichem Schnee fordert uns noch einmal heraus, in der Dunkelheit brechen wir immer noch hüfttief ein, doch irgendwie bewegen sich unsere Körper von alleine, auf einer vorgegebenen Bahn in einer angenehmen Leere.
Mëisulesfels im Rofan
Anfang Juni haben sich Tobia und Martin zwei Tage ins Rofan verirrt
Beim Durchblättern des neuen Tirolführers von Michael Meisl inspirieren so einige Sportklettergebiete Tirols... Das Rofangebirge oberhalb des Achensees wird mit wunderschönen Bildern von gut strukturierten Kalkwänden präsentiert. Bald war klar, da muss man mal hin! Tobia sprach auch schon seit Längerem von einem Mehrtagestrip und so waren wir nach einem Tag im Zillertal auf dem Weg nach Maurach. Neben den verstreuten Klettergärten gibt’s zusätzlich Alpintouren in überschaubarer Anzahl. Unsere Wahl fiel für den ersten Tag auf die Rosskopf-Nordwand, eine 350m hohe vertikale Wand aus bestem Kalkgestein. Die Kletterei kommt den Touren des Meisules dala Biesces sehr nahe und lässt somit nichts zum Wünschen übrig. Über Kamine, Risse und glatte Platten schlängelt sich die teils mit Bohrhaken, teils mit Normalhaken abgesicherte Tour nach oben. Über einen Grasrücken gelangt man zum Grat welcher zum Südgipfel führt, wo man eine wunderschöne Aussicht auf die Zillertaler Alpen hat.
Nach einem fantastischen Abend und einer recht windigen Nacht sind wir am zweiten Tag zum Sportklettern an die Edelweißwand und in den Sektor Paradies gegangen. Die Routen sind athletisch und man sollte noch eine gute Portion an Haut an den Fingern haben :D Begeistert und zufrieden ging's am Nachmittag gemütlich mit der Seilbahn runter ins Tal. Eines waren wir uns einig: das war sicherlich nicht der letzte Besuch des Rofaaaans!
Via della Collaborazione - Spiz di Lagunaz
Kurz vor Jahresende kletterten Titus und Martin eine sehr schöne Route am Spiz di Lagunaz
Weihnachtszeit. Familie, Freunde, Feiern und die Zeit genießen. Die Tage vergehen und die Lust etwas zu unternehmen steigt allmählich wieder. Titus ist voll motiviert und kann es auch kaum erwarten eine neue Herausforderung in Angriff zu nehmen. Für die Winterzeit ist es relativ warm, es liegt nahezu kein Schnee und Hochdruckeinfluss bestimmt das Wettergeschehen im Alpenraum.
Im Sommer, als wir auf Durchreise in der Valle di San Lucano waren um uns die Wände ein wenig näher anzuschauen, hatten wir einen schönen Pfeiler des Spiz di Lagunaz ins Visier genommen. Eine wunderschöne Linie fiel ins Auge und schon träumten wir von Tagen in der Wand und lauten Hammerschlägen. Zu Hause angekommen, auf der Suche nach Wandbildern der abgelegenen Wand, kam dann die Ernüchterung: vor nicht allzu langer Zeit hat es am besagten Wandteil eine Erstbegehung gegeben, die „Via della Collaborazione“.
Den schönen Gipfel und auch die Tour hatten wir nicht vergessen und nach erfolgloser Suche reizender Alternativen fiel die Entscheidung relativ leicht. Am nächsten Morgen finden wir uns im dichten Wald unter der Terza Pala di San Lucano wieder. Es ist dunkel und man kann nur weit oben die Konturen der Wände erkennen. Einige Steinmänner weisen uns den Weg und nach anstrengenden Graspassagen erreichen wir das Band welches bis unter den Spiz di Lagunaz führt.
Die ausgezeichnete Felsqualität und das atemberaubende Ambiente lassen uns den langen Zustieg vergessen und bald erreichen wir den gelben, ausgesetzten Wandteil. Die Kletterei ist anspruchsvoll und zwingend, obwohl einige Haken stecken. Eine Aneinanderreihung von Rissen ermöglicht es die sonst so glatten Wände dieser Wandflucht zu überwinden. Wir hofften am Ende der elften Seillänge einen passablen Biwakplatz zu finden, jedoch kann man nicht mal zum Sichern bequem stehen. Da schon fast die Dämmerung einsetzt, schauen wir noch schnell die nächsten vier schwierigen Seillängen in Angriff zu nehmen um den Schlafplatz der Erstbegeher zu erreichen. Nach einer letzten Länge in totaler Dunkelheit stellen wir fest, dass auch an dieser Stelle zwei Personen keinen Schlaf finden werden. Während ich mir zwanzig Meter rechts von der Route einen Platz mühevoll ausgrabe, hat Titus die brillante Idee die Äste einer Latsche zu fixieren um so seinen Schlafplatz einzurichten. Nach etwas Warmen zum Essen schlüpft jeder in seinen Schlafsack und versinkt tief in seinen Gedanken.
Am Morgen verfärbt sich die Quarta Pala in einer dunkelroten Farbe. Wir wissen, dass spätestens gegen Mittag die Sonne uns wieder richtig aufwärmen wird. Der zweite Teil der Route verläuft ohne größere Probleme und am frühen Nachmittag stehen wir am höchsten Punkt des Spiz di Lagunaz.
Die Kulisse ist atemberaubend, auf einer Seite die Marmolada mit ihrer glänzenden Plattenflucht, auf der anderen Seite die Cima della Busazza und gegenüber der Gipfel des Agnèr, auf dem wir genau vor einen Jahr standen. Allesamt schöne Erinnerungen, genau wie jene die vom Spiz di Lagunaz bleiben wird.
Martin Dejori
Giulia grazie a tuo padre che ci è venuto incontro alla Forcella dei Gares e grazie per l’ottima ospitalitá quella sera! :)
Via tl Vënt auf der Vilnösser Rotwand - Ein Abenteuer im Wind
An spannenden Momenten in den Bergen erinnert man sich immer gerne zurück, denn im Gedächtnis verbleiben die schönen, bewegenden Augenblicke, jene die von Angst und Bedenken beherrscht waren filtern wir unbewusst heraus.
Titus Prinoth hat seine Gedanken zur im Sommer 2015 erstbegangenen Route "Via tl Vënt" zusammengefasst:
Als Alex und ich unsere erste Erstbegehung auf der Vilnösser Rotwand begannen, waren wir noch recht unerfahren in diesem Gebiet. Im Hakenschlagen, eine Kunst für sich, mussten wir noch viele Übungsstunden investieren und Erfahrungen sammeln. Aber das unvergleichliche
Hochgefühl, dass uns Alpinisten vergönnt ist, wenn ein Haken perfekt gesetzt wird und die letzten Millimeter Stahl, die im Fels versenkt werden, hart erarbeitet werden müssen, ist wirklich erfüllend. So wurden wir immer besser und geschickter, wir entwickelten langsam ein Augenmaß, das uns sagte wo welcher Haken passen könnte.
Aber es war erst der Anfang der Sommersaison, der Kalender zeigte erst Juni und deswegen waren wir noch nicht in unserer besten Form. Eine Erstbegehung auf unserem zukünftigen alpinen Spielplatz motivierte uns aber sehr und so gingen wir es langsam an. Pro Versuch machten wir immer nur wenige Seillängen und arbeiteten uns langsam aber sicher voran. Die erste Seillänge beanspruchte Alex für sich. Schmunzelnd dachte ich nach, ob er mich vor einer möglichen Bodenlandung bewahren wollte oder sich als der Ältere verantwortlich für mich fühlte. Möglicherweise auch keines der beiden; wie dem auch sei, unser relativ großer Altersunterschied hindert uns nicht daran immer wieder gemeinsame Abenteuer zu bestreiten.
Wir folgen der logischen und einzig möglichen Linie, immer abwechselnd und wie der Zufall es will, bekommt Alex alle schwierigen Seillängen und ich alle, die man genussvoll klettern kann. Damit sind jene Seillängen gemeint, die nicht allzu schwierig sind aber wunderbaren Fels haben und deswegen wunderschön zu klettern sind. Alex meistert die zwei Schlüsselseillängen mit stählernen Nerven und einer erheblichen Portion Mut. Im wilden und exponierten Gelände arbeitet er sich stets schnell voran. Während ich an den Ständen warte, fällt mir immer wieder auf wie exponiert der von uns gewählte Wandbereich ist. Aber ich bekomme es auch am ganzen Körper zu spüren, denn ein immerwährender Luftzug, ein leichter Wind, lässt mich erzittern und Kälte in meine Glieder eindringen.
Die Route „Via tl Vënt“ heißt so viel wie Route im Wind aber auch hinweg mit dem Wind. Mit der doppelten Bedeutung haben wir uns auf den Verlauf und die Exposition der Route bezogen. Sie verläuft größtenteils auf einem Rücken, wo es oft windig ist. Somit ist die Route wortwörtlich immer im Wind, aber während wir sie kletterten fühlten wir und auch vom Wind weggetragen, hinweg in eine andere
Welt.
Da der Fels meistens sehr kompakt und hakenfeindlich ist, wurden nur die absolut notwendigen Haken geschlagen. Die anspruchsvollen Seillängen sind nur teilweise abgesichert und mobile Sicherungsmittel sind für Wiederholer unabdingbar. Die von uns relativ tief gehaltene Bewertung sollte zu den Bewertungen der anderen Routen auf der Wand passen.
Senteda generela dl GAG
Coche uni ann de jené à la Grupa Alpinisć Gherdëina nvià a si senteda generela, per fé n riassunt de i lëures y la jites dl ann 2016 y pensé a nuef proiec. Da nuef ie ënghe unì lità l cunsëi.
Per i alpinisć ie l scumenciamënt dl inviern n tëmp per paussé mpue. I crëps ie curì da na pitla brija che lascia deventé l arpizeda sfadieusa, ma per jí cun la peves iel suvënz mpo mo massa puecia nëif. Vel un che à gën l alpinism d’inviern se arpizea sun parëies a nord, adruan plu dis y fajan na fadia stramba, ma chëstes ie aventures che ne te lascia nia l debujën de pie via bele inò l di do.
Na paussa ie for na bona ucajion per pensé de reviers y inant tl daunì. L GAG à fat chësc ai 7 de jené tl local SAUT. Prejënc fova i assesëures al sport Ivan Senoner y Marika Schrott, l prësident di Judacrëp Hubert Moroder, Christian Pescoll prësident dla Nëus Jëuni Gherdëina y sambën ngrum de cumëmbri dla lia y tifosi di crëps. L ann 2016 ie stat rich de atività, uni mëns ie chëi dl GAG muec per na jita, de ansciuda cun la peves y d’instà pona a crëp. Dai alpinisć esperc a tei che fajova si prim vares vertichei univa duc pea. Per l cunsëi ie stat l majer mpëni l ressanamënt
dla Cava, la palestra da jì a crëp plëina de tradizion. Ngrum de ciodi fova vedli plu de trënt’ani y de cunseguënza da ruin. Nscì à l cunsëi baratà ora ben 300 ciodi. Per festejé l gran lëur à l GAG pona metù a jì la manifestazion CAVIMÄNT: na gara per arpizadëures a pèr cun l fin de se devertì. Cun legrëza à l cunsëi prejentà la nueva homepage www.gagherdeina.com che abina adum ngrum de nfurmazions sun vies, jites y deplu. A duc ti va l nvit de ti dé n udleda a chësta bela plata. Un di mumënc plu mpurtanc dla sëira fova canche l ie unì spartì ora dl ciodo dl GAG, na recunescënza per i alpinisć che à fat diesc vies. Chësc ann l à giapà Anna Holzknecht, Daniel Demetz, Manuel Maierhofer, Stephan Fischnaller y Mirko Fill. Ti mbincion che i vede inant for cun legrëza y segurëza a crëp. Daldò ie unì lità da nuef l cunsëi y ai sies „vedli“ che fej
inant iel ruà leprò mo Daniel Demetz, che porta pea na gran motivazion. Tl 2017 nes aspieta inò ngrum de bela jites y vel manifestazion. Sëurampro jirà inant i lëures de ressanamënt ti posć da jì a crëp dut ntëur Gherdëina. Dan finé via la sëira se à mo duc fermà a maië na lasagne y se baraté ora sun ideies y mprescions. A una se foven che l alpinism te Gherdëina à daniëura n bon daunì.
Alex Walpoth
"Annetta Stenico" - Innerkoflerturm
Anfang Dezember kletterten Martin und Alex die Route Annetta Stenico (VII- und A3, 450m, frei ca. 7b) am Innerkoflerturm.
Wir wussten ja, dass die Wettervorhersagen starken Wind meldeten; dennoch zweifeln wir an unserem Vorhaben, als wir frühmorgens auf dem Sellajoch aus dem Auto steigen und der Sturm uns willkommen heißt – oder eben nicht. Es ist Anfang Dezember, nordseitig liegt schon mäßig viel Schnee, der stürmische Wind aus Norden hat in den letzten Tagen die Schneelandschaft geprägt und umgestaltet. Daher wollen wir in der Innerkofler-Südwand klettern, vom Wind geschützt und der Sonne gewärmt.
Wir haben eine gute Entscheidung getroffen. Als die ersten Sonnenstrahlen die gelbe Wand erhellen, wird sie ihrem Übernamen „Rote Flamme“ gerecht: Überhängend, rötlich schimmernd, abweisend und gleichzeitig anziehend schießt die Wand nach oben. Wir klettern die Route „Annetta Stenico“, erstbegangen im Jahr 2005 von Ivo Rabanser und Stefan Comploj. Eine tolle, schwierige Route mit einer ästhetischen Linienführung, den leichtesten Weg im steilsten Wandabschnitt suchend. Obwohl es mit dem ersten Eindruck unmöglich erscheint, ist die Route frei kletterbar und die Schwierigkeiten erstrecken sich bis in den unteren neunten Grad. Der Fels ist manchmal sehr brüchig aber meistens kompakt und reich an Griffen in den unterschiedlichsten Formen. Weit oben, wo die Wand mit einem langen Grat endet, behauptet sich der Winter. Es ist kalt und es erreicht uns nun auch der starke Wind, Schneekristalle wirbeln ins Gesicht, die Augen blinzeln. Der Gipfel ist diesmal nur ein Wegpunkt, die tief am Horizont leuchtende Sonne drängt zum Abstieg. Wir wollen über das Coloir Mystica absteigen, doch der unablässige Wind schießt uns Schnee ins Gesicht, wir können kaum sehen. Wir müssen irgendwo anders absteigen, doch der Sommerabstieg ist tief verschneit. Wir improvisieren und gelangen schließlich ihn eine westseitig ausgerichtete steile Rinne. Die Standplätze sind eingerichtet und nach mehrmaligem Abseilen erreichen wir in der anbrechenden Nacht die Zahnkofelscharte.
Unterwegs von der Dunkelheit am Morgen bis zu jener am Abend, diese Tage haben wir am liebsten!
Text Alex Walpoth, Fotos Martin Dejori
Erstbegehung „L Patat“ – Kleine Fermeda
Im Sommer 2016 kletterten Titus und Janluca eine neue, anspruchsvolle Route an der Fermeda-Südwand.
Ein Bericht von Titus Prinoth.
L Patat – Die Kartoffel, so heißt eine neue Route, die entlang der überhängenden Wände oberhalb der Seceda Alm verläuft. Ja, einmal mehr die Seceda Alm! Vielfältige Gründe lassen mich immer wieder in dieses Gebiet zurückkehren, um neue Abenteuer zu suchen: Das Leuten der Kuhglocken sowie der himmlische Duft nach Heu, geschweige denn die Aussicht; all dies verkürzt die langen Wartezeiten an den Ständen erheblich.
Schon längere Zeit hatte ich diese Linie zwischen der „Mesa Luna“ und der „La Fanzieuta“ gesehen und studiert. Ob es möglich war noch eine Route über die gewaltigen Überhänge, die den Weg zum Gipfel fast versperren, zu klettern war ungewiss. Die ersten Seillängen sind aber eigentlich aus einer spontanen Aktion heraus entstanden. Janluca und ich wollten eigentlich überprüfen, ob „La Fanzieuta“ frei kletterbar sei, doch als wir unter der Route standen entschieden wir uns um, da die von Karl Vinatzer und Simon Oberbacher 1992 erstbegangene Route nass war. Zum Glück hatten wir ein paar Haken mit dabei und konnten es deswegen wagen, die Wand sachte anzugehen. Nach einem trügerischen aber nicht sehr schwierigen Riss gelangte Janluca zu dem „Köpfel“, der uns als Rückzug von der „Fanzieuta“ gedient hatte. Nun ging die Wand in eine vertikale Platte über. Ich bewegte mich zwischen verschiedenen, mannsgroßen Löchern und platzierte ein paar fragwürdige Friends. Nach mehreren Metern, geprägt von Unterbrechungen wo ich immer wieder Löcher von Schutt befreien musste, erreichte ich eine Platte mit zwei Sanduhren. Danach kletterte ich beruhigt weiter bis ich zwei meiner drei mitgebrachten Haken versenken und Janluca mit „Stand“ benachrichtigen konnte. Weiter konnten wir es nicht wagen da es mit nur einem Haken zu riskant gewesen wäre: Wir zogen uns zurück.
Wochen später, als Janluca und ich uns wieder zusammenfanden, musste er den weiteren Verlauf der neuen Route in die Hand nehmen. Janluca hatte noch keine Erstbegehung gemacht und so war ich ein wenig skeptisch, wie er sich in dem jungfräulichen Ambiente behaupten würde. Nach ein paar nützlichen Tipps und mit der ganzen Kampfausrüstung startete er los. Eine glatte Platte trennte ihn von einem eindrucksvollen, überhängenden Riss. Er beging sie mit Bravour, in gewagtem Freikletterstil. Erstaunt sah ich wie er entschlossen und sicher den rettenden Riss erreichte und rasch danach die Stelle wo der Riss sich teilweise schließt und sehr abschüssig wird. Der Fels hat überraschenderweise in diesem Bereich eine sehr rutschige und glatte Oberfläche. Nach mehreren Versuchen und mit Hilfe von ein paar Friends erreichte er einen guten Standplatz. Nun war ich wieder an der Reihe und erkannte, dass die nächste Seillänge kompliziert werden würde. Aber dank meiner „zeppe di legno“, kleine Holzkeile mit denen ich Löcher fülle und anschließend einen Haken hineintreiben kann, war ich zuversichtlich. Nach vier Stunden mit Cliff-Passagen, heiklen Freikletterstellen und so manchen Flüchen erreichte ich erschöpft einen perfekten Standplatz direkt an der Dachkante. Unter mir breitete sich der enorme Überhang der Kleinen Fermeda Südwand aus. Nun ging es noch über leichtes Gelände zum Gipfel wo wir, von dem aus der Kulinarik stammenden Namen unserer Nachbarroute inspiriert, einen sinnlosen aber humorvollen Namen wählten.
Central Pillar of Freney - Mont Blanc
Titus, Alex und Martin waren vom 21.-24. August am Mont Blanc unterwegs und konnten dort in zwei wunderbaren Routen klettern.
Schon seit Tagen meldet der Wetterdienst eine längere Schönwetterperiode für den gesamten Alpenraum. Wieder mal fällt die Entscheidung wohin es gehen soll nicht leicht. Ein Projekt in den Dolomiten abschließen oder ein Abstecher in die Westalpen?
Schlussendlich ist die Lust nach Granitrissen, Gletschern und schneebedeckten Graten doch größer und so sitzen wir kurz drauf, bei lauter Musik von Zucchero, im Auto. Noch am selben Tag steigen wir am späten Nachmittag zum Eccles Biwak auf und werden auf den letzten Metern von einem wunderbaren Sonnenuntergang begleitet.
Der Zustieg zum Roten Pfeiler gestaltet sich am nächsten Morgen als nicht gerade einfach und so wählen wir die Bonatti-Route, um es am Nachmittag gemütlicher zu haben. Über orange-rote, kompakte Platten, perfekte Risse und Kamine schlängelt sich die Linie geschickt über die steile Wand empor. Wegen der eingerichteten Stände kommen wir sehr schnell voran und genießen jeden Meter der abwechslungsreichen Kletterei. In der warmen Sonne erreichen wir früh den Gipfel und gönnen uns eine Pause, bevor wir wieder über dieselbe Route abseilen. Wasserkochen, etwas essen und einfach nur das gewaltige Ambiente auf sich wirken lassen steht in den späten Nachmittagsstunden auf dem Programm.
Nach einer kurzen Nacht holt uns um halb 3 der Wecker aus den feinen Schlafsäcken. Kurz darauf stapfen wir im Mondlicht Richtung Col Eccles um von dort einmal abzuseilen. Die Verhältnisse sind optimal, das Geröll und lose Steine sind mit gefrorenem Schnee bedeckt und auch das blanke Eis können wir gut umgehen. Noch im Dunkeln startet Titus über die erste Seillänge. Er kommt gut voran und die vielen Seilstücke und Haken weisen ihm den Weg. Kurze Schneefelder wechseln sich mit steilen, auch anspruchsvollen, Felspassagen ab.
Im Mittelteil wird alles ein wenig unübersichtlich und man wundert sich schon hin und wieder, ob man wohl nicht doch von der Originalführe abgekommen ist. Die Kletterei ist keinesfalls banal für die klassischen Schwierigkeitsgrade.
Noch gut kann ich mich daran erinnern, wie wir am Gipfel des Mont Blanc vor drei Jahren rätselten, wie man sich wohl auf dem Freney-Pfeiler fühlen würde, wenn wir schon bei dem vergleichsweise leichten Kuffnergrat den „passo della vacca stanca“ einlegen musste… Glücklicherweise ist alles weniger anstrengend als gedacht und Alex kommt im Vorstieg sehr gut voran.
Die Chandelle ragt ähnlich dem Gran Capucin in den Himmel. In den Schlüsselseillängen stecken viele Haken, man kann jedoch auch gut frei klettern. Der Stand unter der Seillänge mit dem berühmten Kamin ist für Alex und Titus nicht gerade bequem und so ziehe ich mich, um Zeit zu sparen, an allem hoch was mir in den Weg kommt. Immer wieder denke ich an Giorgio, unseren Freund aus Genua, der mich für diesen Kletterstil sicher loben würde!
Der Gipfel der Chandelle ist klein und überall hängen Seile. Man stellt sich die Frage, was andere damit wohl gemacht haben… Nach einem kurzen Abseiler gelangt man in kombiniertes Gelände welches direkt in Richtung Gipfel führt.
Kurz nach fünf Uhr freuen wir uns am höchsten Punkt zu stehen und genießen den atemberaubenden Ausblick. Der lange Abstieg vergeht im Nu und eingebettet zwischen den Lichtern tief unten im Tal und den Sternen am Himmel fallen wir in einen tiefen Schlaf.
Die ersten Sonnenstrahlen lassen uns langsam aus den Schlafsäcken kriechen. Glücklich treten wir den Weg zurück in die überfüllten Straßen von Chamonix an. Das Gefühl wieder unten zu sein fühlt sich angenehm an, vergeht aber so schnell wie es gekommen ist, und man denkt schon wieder an andere Orte wo man solche Abenteuer leben kann.
Erstbegehung "Ricordi nebbiosi" - Cima della Busazza
Am 02. und 03. August klettern Titus Prinoth, Alex Walpoth, Girogio Travaglia und Martin Dejori eine neue Route durch die Westwand der Cima della Busazza (2894m). Die 1170 Meter lange Route bewerten sie mit IX- A1.
Nach der Erstbegehung der „Via degli Studenti“ durch die faszinierende Nordwestwand der Civetta setzten wir uns mit einem weiteren alpinistischen Problem in dieser Gebirgsgruppe auseinander. Giorgio, unser Kletterpartner und guter Freund aus Genua sprach immer wieder von der Westwand der Cima della Busazza. Zwischen den Routen „Castiglioni“ und „Cassarotto“ befindet sich eine beeindruckende Dächerzone, doch auf den Fotos sah dieser Wandteil eher kurz aus und das Projekt geriet in den Hintergrund. Erst als wir uns heuer mit Fernrohr und Teleobjektiv unter die Busazza begaben keimte wahre Motivation auf: Unten noch anlehnend wird die Westwand nach oben hin immer steiler, um kurz vor der dem Gipfel in einen großen Überhang überzugehen. Die Route würde sehr schwierig werden; die anfängliche Idee direkt über die Dächer hinauszuklettern verwarfen wir angesichts der fehlenden Wandstrukturen, eine verworrene Linie etwas weiter links schien jedoch der Schlüssel zu sein.
Zwei Tage später waren wir mit der gesamten Ausrüstung unter der Wand. In den ersten Längen kamen wir gut voran. In dem brüchigen Gelände traf ein Stein Martin knapp unterhalb der Lippe und verursachte einen tiefen Schnitt, der uns große Sorgen bereitete. Wir überlegten bereits das Abenteuer abzubrechen, aber ein ordentlicher Verband, der Martins Mund fast zuklebte, und die große Motivation ließen uns weitermachen. Bald kehrte die Routine zurück: Der Vorderste eröffnete die Route, der Zweite war fürs Sichern zuständig und die anderen zwei hievten den schweren Sack, der alles Notwendige für 3 Tage in der Wand enthielt, nach oben. Nach einem halben Tag erreichten wir die gelben Überhänge, 300 Meter unter dem Gipfel. Doch die Schwierigkeiten sollten hier erst beginnen. Die erste schwierige Länge, für die ich vier Stunden benötigte, brachte uns mitten ins Gelbe hinein. Der Fels war extrem kompakt und hakenfeindlich. Nur einige Löcher ließen sich mit Holz auffüllen, in welches ich dann jeweils den Haken hineintrieb. Giorgio nahm die nächste Länge in Angriff, die schwierigste, die acht Stunden in Anspruch nahm. An diesem ersten Tag kletterte er nur die erste Platte hinauf, doch es waren entscheidende Meter die er mittels gewagter Freikletterei zurücklegte. Titus und Martin hatten in der Zwischenzeit ein schmales Band gefunden, welches uns eine halbwegs gemütliche Nacht gewährte, mitten in der Wand.
Im Morgengrauen stiegen Giorgio und Titus bereits wieder die Fixseile hoch. In freier und teilweise technischer Kletterei arbeitete sich Giorgio langsam hoch, bis er unter ein brüchiges Dach gelangte, an dem es kein Vorbeikommen mehr gab. Ein paar Meter drunter entdeckte er eine mögliche Querung nach links, doch inzwischen war er müde und froh, dass Martin diese neue Möglichkeit in Angriff nahm. Martin legte einige sehr schwierige Züge in die Horizontale zurück, bis er endlich zwei Friends und zwei Haken unterbrachte, alle von mittlerer Qualität. Dann kletterte er wiederum wichtige Meter nach oben. Es war mittlerweile nach Mittag und wir hatten bloß zwanzig Meter zurückgelegt. Wir sprachen es noch nicht aus, aber eine zweite Nacht in der Wand wurde immer wahrscheinlicher. Ich löste Martin ab und kletterte an kleinen Griffen eine Platte hinauf. Doch da wo wir von unten ein Band vermutet hatten befand sich nur eine glatte Wand. Ich sah keine Möglichkeit, mit traditionellen Mitteln einen Stand zu bauen und setzte schweren Herzens zwei Bohrhaken in mühsamer Arbeit mit dem Handbohrer. Zum Glück sollten es die einzigen bleiben und auch wenn das Setzen von Bohrhaken ethisch unschön ist, hat die Sicherheit für uns Vorrang. Andererseits ist es auch ethisch, das Leben zu schützen…
Titus eröffnete schließlich die befreiende Länge, die uns den Weg zum Gipfel frei machte: Eine riskante Querung, dann zwei schlechte Haken bis er schließlich einen guten unterbringen konnte.
Als wir eine perfekte und beeindruckende Verschneidung hochkletterten, die wir bereits von unten als Schlüssel zur Überwindung der letzten Überhänge entdeckt hatten, brach die Nacht über uns herein. Es umfing uns eine angenehme Ruhe. Wir entschieden, dass wir nun bis zum Gipfel klettern würden. Kurz vor Mitternacht waren wir ganz oben, in einem wunderbaren innerlichen Zustand von Zufriedenheit und Müdigkeit. Wir schliefen direkt auf dem Gipfel, bis uns die ersten Sonnenstrahlen weckten.
Bevor wir nach Hause fuhren besuchten wir noch Paola und Valter in der Tissi-Hütte, wo wir für unsere Erstbegehung den Namen „Ricordi nebbiosi“ fanden, um uns an die zwei Tagen in der Wand erinnern, von Nebel umhüllt und auf den reinen, intensiven Augenblick bedacht.
Ein glücklicher Augenblick – Zwei neue extrem lange Sportklettertouren am Traumpfeiler
Schon im Sommer 2012 hatten Martin Dejori und Alex Walpoth am linken Rand des Traumpfeilers zwei neue, 65 Meter lange Routen eingebohrt. Am 01.11.2015 durchkletterte Alex "Ananda" und zwei Tage später schaffte Martin "Momentum". Als Bewertungsvorschlag geben die beiden 8b respektive 7c+ ab. Natürlich sind wir gespannt, wer sich die erste Wiederholung dieser ewig langen und schönen Routen holen wird. Im folgenden Text geht Alex näher auf die Enstehung von "Ananda" und "Momentum" ein.
Der Traumpfeiler hat unsere Entwicklung als Kletterer zu einem nicht unerheblichen Teil geprägt. Die bis zu 150 Meter hohe Plattenflucht schreckte uns in ganz jungen Jahren ab. Wir waren Überhänge und Wettkämpfe gewohnt, Klettern bedeutete Aufwand von Kraft und Ausdauer. Erst in den folgenden Jahren endeckten wir den Traumpfeiler für uns und erfuhren, dass Klettern sich auch leicht und elegant anfühlen kann, dass Technik und Stil über der reinen Kraft stehen. Die Kletterei auf diesen grauen Platten kann zu einem vertikalen Tanz werden, doch schon ein übersehener Tritt kann diese Harmonie der Bewegungen wieder zerstören.
Die anfangs hart anmutenden Bewertungen hielten uns nicht davon ab, dieses weite Plattenmeer genau zu erkunden. Schon bald erkannten wir, dass der Traumpfeiler in seinem linken Bereich noch Geheimnisse bewahrte. Dort enden die grauen Platten mit einer Kante und gehen in eine gelbe Wand über. Diese ist zwar nur fünfzehn Meter breit, zieht aber kontinuierlich senkrecht oder leicht überhängend 65 Meter himmelwärts. Nur die ältere Route „Sëch o nia“ geht diese Wandpartie an, jedoch nicht einmal bis zur Hälfte.
Wir kletterten 5 Seillängen des klassischen „Traumschiffes“ mit Bohrmaschine und Bohrhaken im Rucksack, weichten oben nach links aus und erreichten das obere Ende der gelben, unerforschten Wand. Als wir zwei Stände gebohrt hatten, hatten die zwei neuen Routen schon einmal ein Ende. Dass der Weg dorthin allerdings unfassbar lang werden sollte, wurde uns beim Abseilen und gleichzeitigem Anbringen der Spit bewusst. Mehrere Nachmittage waren notwendig, bis alles eingebohrt war.
Nun konnten wir mit den ersten zaghaften Versuchen beginnen, doch selten kamen wir über die ersten dreißig Meter hinüber. Die Kletterei bot sich spektakulär dar: Die Griffe sind klein und nur durch knifflige Bewegungen zu einem kletterbaren Weg verbindbar. Der Sommer 2012 ging vorüber, und auch jener 2013 und 2014, ohne dass wir ernsthaft versuchten, die 65 Meter durchzusteigen. Wir investierten die ganze Zeit ins Alpinklettern, durch Vernachlässigen des Sportkletterns fehlte das notwendige Training. Erst gegen Ende des Sommers 2015 griffen wird wieder die zwei Projekte mit großem Enthusiasmus auf. Martin konzentrierte sich auf die linke Route und ich auf die rechte. Meine Route stellte sich als schwieriger heraus und ich wendete viel Zeit auf um die vielen Bewegungen einzustudieren. Den ersten Teil kannte ich perfekt, im Gegensatz zum zweiten: Nur selten war ich bis ganz oben geklettert: Dort oben schaut der Sicherer nur noch ganz klein aus und man fühlt sich allein mit dem Felsen. Dass ich die Route an Allerheiligen klettern konnte, verdanke ich vor allem sehr guten Freunden, die mich mit viel Geduld bei meinen Versuchen sicherten. Die Rotpunktbegehung musste ich mir bis zum Schluss erkämpfen, vor allem die psychische Belastung wurde nach oben hin immer größer: Es war hilfreich, sich nur auf die nächsten Züge zu konzentrieren statt sich die Route in ihrer ganzen Länge vorzustellen. „Ananda“, Glück bedeutend, verspürte ich als die Reise beendet war. 8b schlage ich als Bewertung vor.
Martin hatte seine Route teilweise alleine einstudiert, einmal hatte ich ihn gesichert, dabei stürzte er ein paarmal ziemlich weit. Auch für ihn bestand die Herausforderung darin, auf dieser langen Route nicht die Nerven zu verlieren. Zusätzlich müssen einige schwere Züge weit über dem letzten Bohrhaken geklettert werden. Martins Durchstieg wurde zum vertikalen Tanz und für ihn zu einem perfekten Moment, daher der Name „Momentum“, 7c+.
Chamonix – Les Droites & Mont Dolent 21- 24.03.2016
de Martin Dejori
L ena de pasca ie Aaron y Martin stai a Chamonix per n valgun dis
Tosc an deciso de fè zech ntëur al dlacier de Argentiere y nscila sons mo l prim di piei su cun la telepferique des Grandes Montets per po durmi tl rifugio Argentiere che ie sota i biei parëis dl Agiuille Verte, Les Courtes y Les Droites.
La via “Lagarde direct” sun l parëi nord de Les Droites nes a bel snel ispirà. La ie na linea de dlacia da 1000 m de deslivel che porta su sun la piza centrela a 4001 metri.
Do na nuet curta sons piei via cun luna colma - n spetacul se muever tla dumbries de chisc crëps fac de sas, neif y dlacia! La fova longia ma tosc fans sun piza per goder l surëdl y la beliscima vista de viers dl Monte Bianco y Grandes Jorasses. Do n valguna calates pudan mo fe de beliscima raides cui ski nchin ju tl zënter de Chamonix.
Do chësc di foi ie purtruep amala tl liet y nscila iel stat saurì che Aaron pudoa mo fe na bela tour cun Philipp y Thomas de Bulsan. Ei à mo fat la nord dl Mont Dolent, na piza estetica che ie sun l cunfin dla Talia, Francia y la Schweiz. Coche n veij sun la fotos ie enghe chësc giro stat davëira figo!
Sën che n ie a cesa a scrÌ chësta trei risses piessun l plu gën inò via duman…:)
Türkei - Unterwegs im Kaçkar Gebirge 2016
von Martin Dejori
Ende Februar bin ich zusammen mit den "Jungen Alpinisten" ins Kaçkar Gebirge in den Nordosten der Türkei gereist. Hier ein kurzer Bericht und einige Bilder vom unvergesslichen Abenteuer...
Von München sind wir über Istanbul nach Erzurum geflogen um von dort aus 4 Stunden mit einem Kleinbus nach Olgunlar zu fahren. Olgunlar ist ein kleines Dorf im Herzen der Gebirgskette nahe dem Schwarzen Meer und unser Ausgangspunkt für die nächsten Tourentage.
Eines war uns gleich klar: hier werden wir eine Menge Spaß haben! Nach zwei super Skitouren zum Auskundschaften und Eingewöhnen, haben wir am dritten Tag am Talschluss unser Basecamp eingerichtet. Von dort konnten wir die drei Hauptgipfel die mich ans Dreigestirn des Ortlergebirges erinnerten in Angriff nehmen. Bei strahlend blauem Himmel erreichten wir den Kaçkar Daği mit seinen 3932 m; was für ein super Gefühl weit und breit keine Menschenseele zu sehen und den Ausblick auf die einsamen Berge zu genießen... Die Abfahrt über Firnhänge und Pulverschnee zurück zu unseren Zelten zauberte ein Lächeln auf all unsere Gesichter. Man konnte nicht genug davon bekommen!
Als es am vierten Tag wieder Zeit war zusammenzupacken, hatte man sich gerade erst an das Leben im Zelt gewöhnt. Nach Sonnenuntergang in den warmen Schlafsack schlüpfen, ein Buch lesen, was essen und abends im Essenszelt zusammensitzen war super und man wollte eigentlich gar nicht zurück ins Dorf. Spätestens jedoch im warmen, gemütlichen Aufenthaltsraum der Pension waren alle wieder froh zurück zu sein und man freute sich noch auf die verbleibenden 2 Tourentage, die jedoch schnell vergingen.
Abschließend haben wir eine Nacht in Istanbul verbracht und uns die spannende Stadt angeschaut. Auch wenn man in den Medien immer wieder mal was über Probleme in der Türkei hört, habe ich davon nichts gemerkt und muss sagen, dass ich von den Leuten und dem Land positiv überrascht bin!
Danke an alle die dabei waren für diese zwei tollen Wochen! :)
"Frëit dl mond" - Nuova via di misto nel massiccio del Sella 16.02.2016
di Aaron Moroder
Il 16.02.2016 Aaron Moroder e Alex Walpoth hanno aperto una nuova via di misto nel massiccio del Sella. Si trova su una delle numerosi pareti che delimitano la Val Lasties sulla sinistra, circa 400 metri prima della classica cascata "Cassiopeo". Offre arrampicata interessante su roccia e ghiaccio. I primi salitori hanno usato Friends di varie misure, viti da ghiaccio e due chiodi per la prima sosta (tolti). Con due doppie si ridiscende all'attacco della via.
Il freddo è solo un'illusione
"Occhio Aaron", mi dice Alex dall’alto. Tengo le corde più strette e fisso i suoi movimenti. Uno strapiombo lo separa da una bella fessura, dove potrebbe attrezzare una sosta. Il vento gelido non ci ha soltanto rubato il calore del corpo, ma ha anche coperto tutte le prese con una neve polverosa che rende gli appigli scivolosi appena ci si aggrappa. Un'altra volta Alex prova a superare quest’ostacolo: appoggia in modo preciso il rampone su una tacchetta alta, si tira su e velocemente raggiunge le prese più in alto che gli permettono di superare lo strapiombo. Nuovamente sono impressionato dalle sue capacità. La precisione e la sua tecnica di scalata sono ottime e danno l’impressione di grande sicurezza anche su passaggi delicati.
In un certo modo speravo che non riuscisse a raggiungere la sosta, le temperature basse e il vento forte mi hanno raffreddato. Stavo giocando con la possibilità di calarci alla base della parete e ritornare alla macchina invece di dover affrontare il muro di roccia sopra di noi tramite il quale speravamo di raggiungere una candela di ghiaccio sospesa nel vuoto. Ma non vi era alcun motivo reale per non continuare e appena ho iniziato a scalare la motivazione è ritornata nella mia mente, come il calore nei miei arti. Raggiunta la sosta mi sono organizzato l’attrezzatura sull’imbrago e ho iniziato a risalire una fessura strapiombante. Anche se l’arrampicata su roccia, con scarpette e temperature più alte è molto più elegante, in quel momento l’arrampicata su terreno misto mi sembrava molto più eccitante. Noi preferiamo scalare sempre con la tecnica che è più facile sul singolo movimento. Questo risulta in un miscuglio, dove scagliamo gran parte a mani nude e con i ramponi, ma ogni tanto usiamo anche una piccozza con una mano, dipende da passaggio a passaggio.
Anche in questo tiro la neve copriva tante prese e erano da usare con attenzione. Dopo la fessura ho traversato verso destra e trovato una clessidra solida che fungeva come sosta perfetta per affrontare il prossimo tiro che ci avrebbe portato sul ghiaccio. Il passaggio sulla candela era estenuante e delicato ma ci ha portato alla sommità della nostra via.
Ci siamo strinti la mano e guardati attorno. Non ci è restato altro che scendere, abbiamo raggiunto la nostra meta. Con due doppie siamo ritornati ai nostri zaini e i nostri occhi hanno ripercorso la linea scalata. Tutti i miei dubbi e le incertezze che avevo si sono trasformati in ricordi: passaggi delicati, prese decisive o protezioni utili. Sotto il sole serale ci siamo incamminati verso il parcheggio. Il sollievo e la gioia di aver trascorso questa giornata ci fa già pensare a una prossima meta perché per noi raggiungere una cima non è solo soddisfacente ma anche un incentivo per nuove sfide.
La storia infinita - Agner Nord - 29-30 dicembre 2016
di Martin Dejori
Prima ripetizione della via dei fratelli Coubal aperta nel 1990, insieme a Titus
In attesa dell’inverno, normalmente ci si abitua alle giornate grigie, aspettando che l’acqua dell’estate si ghiacci e la neve ricopra i prati autunnali. Intanto la stagione fredda è iniziata, ma sci e piccozze sono ancora al loro posto, solamente le scarpette da arrampicata sono in uso continuo. Si avvicina la fine dell'anno e la voglia di intraprendere una via in roccia non è ancora passata.
Ci incontriamo domenica sera per decidere cosa fare nei prossimi giorni, ma come spesso accade, si rimanda tutto al giorno successivo… La mattina seguente, finalmente tutto è deciso e poco dopo siamo già in macchina, destinazione Valle San Lucano, Agnèr. Tre giornate in parete dovrebbero bastare per poter nuovamente essere di ritorno a casa, in tempo per festeggiare il Capodanno con relativo cenone e abbuffata di rito!
Con grande rispetto ci avviciniamo alla parete immensa, immaginandoci il tiro più difficile del quale un paio di giorni prima ho letto che lo si protegge con degli cordini intorno a spuntoni scavati dall’acqua. Fortunatamente oggi acqua non c'é; tutto è perfettamente asciutto. Non come d’estate, quando eravamo tornati a casa vedendo la colata nera poco sotto alla cima.
Sotto le stelle partiamo presto dal bivacco Cozzolino. Godiamo il silenzio del posto selvaggio e aspettiamo la prima luce per non sbagliare i tiri iniziali. Subito tutto va via liscio, i tiri risultano meno difficili di quello che ci aspettavamo e la scalata è di grande piacere. Presto raggiungiamo la parte centrale meno ripida e un pensiero di salire in giornata si fa strada nella nostra mente. Giunti sotto alle difficoltà, non sappiamo esattamente dove salire; il tempo vola e così non ci resta altro che bivaccare sotto il muro giallo. È un po’ stretto, ma stiamo bene. Dopo aver gustato la polenta non salata cadiamo in un sonno profondo.
Il giorno dopo tocca a Titus partire. Traversa a destra, raggiungendo l’unico posto dove sembra essere possibile passare. Anche se il freddo si fa sentire sale con bravura una placca ripida che dovrebbe essere il tiro chiave. Mette qualche friend e prova a immaginare quali fossero stati gli spuntoni utilizzati dai Coubal. Trova dei chiodi che segnano la via e con un altro tiro usciamo dalla placconata grigia.
Ancora qualche lunghezza facile con tratti nevosi e ci troviamo sul punto più alto di questa montagna di rara bellezza. Spesso ho ammirato la cima che assomiglia a una piramide di neve, pensando alle vie che portano su di lì. Oggi posso ammirare le montagne che circondano l’Agnèr e intanto sognare di nuove vie da fare il prossimo anno...